Benvenuti nel blog di IdV Gualtieri

Lo scopo di questo blog è di dare la possibilità, a chi non ci conosce personalmente, di segnalarci situazioni particolari sul territorio ed eventualmente suggerirci migliorie da realizzare. Inoltre vorremmo trattare avvenimenti politici a carattere nazionale ed internazionale, condividendoli con tutti coloro che lo vorranno.

giovedì 31 dicembre 2009

BANCHE BASSOTTI


Pensiamo che solo leggendo in modo attento il passato si possa capire meglio il presente e farsi un idea sul futuro. Continueremo a pubblicare un pò di storia recente ... (4)
IdV Gualtieri


Banche Bassotti

di Riccardo Orioles (da La catena di S. Libero)

"Io di banche me ne intendo poco e niente. Però mi sembra abbastanza chiaro che quest'estate l'accapigliamento generale si aggiri molto più attorno alle banche che attorno al potere "politico", che evidentemente conta meno. Nel centrosinistra, l'agitazione di Rutelli - col senno di poi - sembra riguardare prevalentemente l'affare Unipol-Bnl, che di converso D'Alema è intervenuto a difendere con inconsueta radicalità. La scalata al Corriere (che speravamo di poter attribuire a Berlusconi: un nome noto, almeno, almeno da un certo livello in su) appare viceversa ambientata in qualche saloon bar di Abilene. Ricucci, che pareva un simpatico palazzinaro prestanome, è invece il manovratore di operazioni bancarie colossali, tali da portare addirittura al congelamento e sequestro delle sue azioni (i tiggì parlano pudicamente di congelamento di "alcune azioni" di "alcuni azionisti" di Antonveneta).

C'era una volta in Italia una grande banca, che si chiamava Banco Ambrosiano ed era diretta da un certo Calvi. Un altro grande banchiere di quei tempi (che sono cambiati: adesso i banchieri sono tutti trasparentissimi e onesti) si chiamava Michele Sindona, ed era talmente al di sopra di ogni sospetto che lo stesso presidente del Consiglio (un certo Andreotti) scriveva lettere ufficiali per garantire per lui. Non c'entra niente: ma è da diversi mesi che non sento più parlare di Parmalat e di Tanzi (tranne che per qualche avara notizia di giudiziaria) e soprattutto che non sento più quantificare una cifra precisa sull'ammontare del buco fatto. Di solito, sulle pagine finanziarie, si parla d'altro.

E' vero che Fazio rappresenta - insieme col presidente del Senato, Pera - il massimo esempio attuale di carica istituzionalmente neutra gettata invece sul mercato della politica (l'uno e l'altro hanno ambizioni), ed è anche vero che la perpetuità del Governatorato della Banca d'Italia è ormai un residuo baronale d'altri tempi (ma in altri tempi i baroni si chiamavano Ciampi e Carli). E' anche vero però che a questo punto le scorrettezze di Fazio sono una patologia marginale, che il vero problema è: quanto comandano oggi le banche in Italia?

Sarebbe relativamente facile saperlo se, per l'emergenza mafia o per l'emergenza terrorismo, o semplicemente perché non c'è ragione per fare altrimenti, fosse stata varata una legge per la trasparenza bancaria, che avrebbe rapidamente strangolato sia Cosa Nostra che Bin Laden. Ma una legge simile non c'è, ed è altamente improbabile che ci sia in futuro: chiedere la trasparenza della proprietà bancaria in Italia (o in America, o in Inghilterra, o in alcun altro paese occidentale) sarebbe come chiedere l'abolizione di Maometto in Arabia Saudita. Ognuno ha il suo DIO intoccabile, e da noi non è né Allah né Gesù Cristo. Perciò, non resta che andare a tentoni, basandosi sui dati macroeconomici a monte e sugli occasionali detriti visibili a valle - non sugli ordinari dati economici, che dovrebbero essere invece accessibili a ogni cittadino.

Fra le tante parole che oggi non si usano più ("lavoro", "lavoratori", "produttori", "diritti", "concorrenza") c’e’ anche la parola "industriale". Ormai sono tutti "imprenditori", parola che significa tutto e niente. Gl’imprenditori, in sostanza, oggigiorno sono dei signori che si agitano moltissimo in finanza e in borsa, ma raramente hanno mezzi propri. O dipendono dalle banche o sono delle banche essi stessi, visto che occuparne o fondarne una e’ ormai diventata un’operazione totalmente privata.
Le banche controllano le aziende, le aziende controllano i media, i media coprono le banche. Questo e’ indubbiamente un regime. Ma come possiamo chiamarlo? Capitalismo non credo, perché manca il capitale industriale. Riciclaggio nemmeno, perché Falcone è morto e non ce lo può più dire. Palazzinarismo, intrallazzo, mani-non-pulite? Ma la commedia all’italiana è finita, questi non son più personaggi alla Alberto Sordi.
Sono pericolosi. Lo sono perché, drenando risorse e non producendo, costituiscono la causa principale (altro che cinesi!) del declino economico del sistema Italia. E lo sono perché non sappiamo chi siano e da dove vengano, e possiamo solo vagamente intuire che storicamente rappresentano il passaggio successivo a Berlusconi.
Dove sarebbero arrivati Sindona e Calvi, se non ci fosse stata la generazione di Falcone? Ambrosoli, Chinnici, Carlo Palermo... Se fossero mancati loro, noi non avremmo mai saputo chi in realtà erano questi "imprenditori", ed essi tranquillamente dominerebbero senza l’opposizione di nessuno. Metterebbero tranquillamente le mani sul Corriere, gestirebbero Rai e private, farebbero politica, governerebbero il Paese."
di Riccardo Orioles (da La catena di S. Libero)

mercoledì 30 dicembre 2009

QUEL LEGAME TRA ...



Pensiamo che solo leggendo in modo attento il passato si possa capire meglio il presente e farsi un idea sul futuro. Continueremo a pubblicare un pò di storia recente ...(3)
IdV Gualtieri

Quel legame tra la Banca Rasini, il premier e Fiorani
di Marco Travaglio


“E' un torrido giorno d'agosto del 1998 quando la quiete vacanziera della Banca Popolare di Lodi viene turbata da una visita inattesa. Un plotoncino di uomini della Dia venuti da Palermo chiedono di vedere gli archivi della Banca Rasini. Cercano, su incarico del pool antimafia, i conti correnti di Silvio Berlusconi e tutta la documentazione relativa alle 25 "Holding Italiana" che custodiscono il capitale della Fininvest. L'indagine è quella a carico di Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, per concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio di denaro della mafia (inchiesta poi archiviata per il Cavaliere e approdata a rinvio a giudizio, processo e condanna di primo grado per Dell'Utri). Perché la DIA cerca quelle carte proprio alla Bpl? Perché dall'aprile 1992 la banca lodigiana, capitanata da Gian Piero Fiorani, ha inglobato (fusione per incorporazione) la Rasini. Cioè il piccolo e chiacchierato istituto creditizio milanese di Via Mercanti, a due passi dal Duomo, fondato dal banchiere Carlo Rasini in società con la famiglia siciliana Azzaretto. Lì Luigi Berlusconi, il padre di Silvio, ha trascorso tutta la sua vita professionale, entrandovi da sportellista e uscendone direttore generale. E' la banca che Michele Sindona, in un'intervista dal carcere al giornalista Nick Tosches, indicò fra quelle usate da Cosa Nostra per "lavare" i proventi dei suoi affari al Nord. La banca che a metà anni 60 concede i primi crediti e fidejussioni all'Edilnord del giovane Silvio.

I pm Antonio Ingroia e Nico Gozzo hanno spedito la Dia a Milano per ricostruire i finanziamenti alle Holding Italiana a cavallo fra gli anni 70 e 80, quando il finanziere Filippo Alberto Rapisarda, ex amico e poi accusatore di Dell'Utri, fa risalire i presunti investimenti miliardari del capo della mafia Stefano Bontate nell'avventura televisiva del Cavaliere.
Alla perentoria richiesta di vedere la carte della Rasini, l'ufficio legale della Bpl cade (o finge di cadere) dalle nuvole: "Della Rasini e dei conti Fininvest non ci risulta nulla". Ma il consulente della Procura Francesco Giuffrida, vicedirettore della Banca d'Italia a Palermo che partecipa alle perquisizioni, ha un asso nella manica. Tira fuori un estratto conto che dimostra l'esistenza di alcuni conti correnti intestati a Berlusconi o riferibili a Fininvest presso la Rasini. E si piazza nei vecchi uffici di Via Mercanti. A quel punto ai banchieri lodigiani torna improvvisamente la memoria: "Ci dev'essere un archivista in pensione che sa qualcosa". Il vecchietto puntualmente arriva e accompagna agenti e consulente all'ultimo piano della banca milanese. Apre cassetti. Estrae vecchi e polverosi dossier. Ed ecco ciò che gli inquirenti cercavano, o almeno una parte: la documentazione delle Holding Italiana. Che - lo si scopre allora - non sono 25, ma addirittura 38.

La Rasini emerge anche dalle indagini del pool di Milano sul patrimonio "parallelo" del Cavaliere: quello accantonato su 105 libretti al portatore accesi presso il Monte dei Paschi di Siena, la Banca Popolare di Abbiategrasso, la Comit e la solita Rasini. Tra il 1988 e il '95 i libretti, materialmente in possesso di Giuseppino Scabini (che amministra il patrimonio personale di Berlusconi), registrano movimentazioni per 130 miliardi in entrata e 126 in uscita. Poi entrano in vigore le norme anti-riciclaggio, e il "nero" verrà trasferito in Svizzera.
Oggi che dalle telefonate di Ricucci, Fiorani e Gnutti emerge il ruolo di Silvio Berlusconi nella scalata alla Rcs, torna alla mente quel vecchio legame affettivo e finanziario fra il Cavaliere di Arcore e il banchiere padano che custodisce gli archivi del suo passato. Entrato alla Bpl nel 1978 con un semplice diploma di ragioneria (si laureerà solo nel 1990, in Scienze politiche), Fiorani inizia la sua arrampicata gestendo due affari molto delicati: uno è la ristrutturazione del gruppo bancario in Sicilia (ingloba ben cinque banche sicule e fa della Lodi la seconda banca dell'isola, dopo il Banco di Sicilia); l'altro è appunto l'ingresso nella Rasini, prima con una partecipazione di controllo, poi con la fusione. Inglobandone il patrimonio, la clientela e gli archivi. Purtroppo gli archivi sono ampiamente incompleti. Alla fine la DIA e Giuffrida dovranno arrendersi di fronte alla "anomalia" di vari finanziamenti, non riuscendo a ricostruire la provenienza di almeno 113 miliardi di lire (anni 70), una quarantina dei quali giunti addirittura "in contanti". Colpa -diranno i pm al processo Dell'Utri- della condotta "poco collaborativa" della Bpl. Ma anche dell'altra banca con cui la prima Fininvest condusse gran parte delle sue operazioni: la Bnl, tramite le fiduciarie Saf e Servizio Italia e tramite la sua banca d'affari a medio termine, Efibanca. Efibanca emerge anche negli atti del processo milanese "toghe sporche": Stefania Ariosto racconta che Cesare Previti le parlò di "fondi illimitati" a disposizione di Berlusconi presso Efibanca per corrompere giudici romani. S'è poi scoperto che Previti era consulente di Efibanca fin dagli anni 70, quando l'istituto cominciò a prestare soldi alla Fininvest per l'edilizia e poi per le tv. Mutui per un totale di 230 miliardi di lire a 8 società del Biscione che - secondo un rapporto della Guardia di Finanza - "prescindono dalla prestazione delle garanzie effettive". Insomma, troppo generosi e poco garantiti. E a chi appartiene oggi Efibanca? Anch'essa alla Bpl, che l'ha acquisita nel dicembre 1999. Come su quelli della Rasini, anche sugli archivi di Efibanca è seduto il ragionier Gian Piero Fiorani.”

martedì 29 dicembre 2009

GLI AMICI DEL RAGIONIER FIORANI



Pensiamo che solo leggendo in modo attento il passato si possa capire meglio il presente e farsi un idea sul futuro. Nei prossimi giorni pubblicheremo, a puntate, un pò di storia recente ...(2)
IdV Gualtieri

Gli amici del Ragionier Gianpiero Fiorani
di Marco Travaglio

"Le sue specialità sono lo shopping e i debiti. Fa debiti per fare shopping, e facendo shopping fa altri debiti. E’ il banchiere più rampante e chiacchierato del momento. Non solo per la scalata dell’Antonveneta, sponsorizzata dall’amico Antonio Fazio che sventola il tricolore contro i presunti “invasori” olandesi dell’Abn Amro. Ma anche per le svariate inchieste per bancarotta fraudolenta - Cirio, Parmalat, Hdc - in cui è rimasto impigliato: uno dei destinatari della tentata e sventata legge salvacrac era lui. Gianpiero Fiorani, amministratore delegato della Banca Popolare di Lodi, è l’emblema della nuova finanza italiana, o all’italiana. Quella che pontifica di mercato e concorrenza, ma poi si rifugia sotto il paracqua della politica e delle parrocchie. In pochi anni s’è gonfiato come la rana della fiaba. E c’è chi giura che sia lì lì per scoppiare. Che la crescita tumultuosa di Bpl (attivi sestuplicati in 7 anni) sia costruita sulla sabbia. E che, se l’affare Antonveneta finisse male, i nodi verrebbero al pettine. A cominciare dalla montagna di debiti che qualcuno calcola in 9.4 miliardi (1.1 volte i depositi dei clienti).
Il ragionier Fiorani, da poco diplomato, entra in banca nel 1978. E’ cattolico, ma soprattutto democristiano. Infatti è un DC doc, il patron della Popolare di Lodi Carlo Cantamessi, ad aprirgli le porte della banca e a promuoverlo direttore di filiale. La laurea in Scienze Politiche Fiorani la prenderà solo a fine anni 90. Intanto fa carriera gestendo un bel po’ di dossier ad alto rischio: ristruttura il gruppo in Sicilia (dove ha inglobato ben cinque banche), entra nella Banca Rasini (che poi si fonderà con Bpl), acquista la Mercantile dal gruppo Fondiaria. Essendo una banca popolare, la Lodi dovrebbe rispettare rigidi limiti al possesso azionario. Ma il Ragioniere li aggira comprandosi l’Iccri, Istituto Centrale Casse di Risparmio, ribattezzato Banca federale europea e poi Reti bancarie. E’ tramite la nuova holding che Fiorani avvia lo shopping, finanziato con un tourbillon di aumenti di capitale. Compra piccole banche decotte, le risana, le rilancia. Intanto Bpl ingrassa: oggi è fra i primi 10 istituti d’Italia. E nel ’97, quando muore Angelo Mazza, l’ultimo patron della Bpl, Fiorani diventa un uomo solo al comando.

Il primo stop arriva con la scalata della Popolare di Crema, un capolavoro di non trasparenza: tutto in Svizzera, a colpi di società off-shore. Arrivano gl’ispettori della Consob di Luigi Spaventa, i giudici indagano per falso in bilancio e uso di informazioni riservate. Ma finisce tutto in archivio, salvo una modesta oblazione. Ormai Fiorani è sotto l’ala protettiva di Antonio Fazio, il cattolicissimo governatore di Bankitalia che nel 1991, nel 1999 e nel 2001 gli ha mandato gl’ispettori. Il Ragioniere diventa amico della moglie e offre uno stage alla Bpl al figlio e al genero del governatore. In più si guadagna l’eterna gratitudine di Santa Madre Chiesa firmando un accordo con la Cei di Ruini per sponsorizzarne le iniziative culturali e finanziare la ristrutturazione delle parrocchie.

Col Cavaliere, tutto liscio: il papà Luigi Berlusconi lavorò per una vita nella Rasini, indicata da Sindona come la banca del riciclaggio della mafia a Milano, poi assorbita dalla Bpl che custodisce le carte di tutte le operazioni riservate; Ennio Doris di Mediolanum è un ottimo alleato di Bpl; e Paolo Berlusconi ha avuto da Bpl i 50 miliardi di lire necessari per evitare il carcere nel processo per la discarica di Cerro. Ma la Lega Nord non ama la finanza cattolica: minaccia di votare per il mandato a termine di Fazio. Il Ragioniere provvede subito: salva la banca padana Credieuronord dal crac che rischia di trascinare in tribunale un bel po’ di papaveri leghisti e sul marciapiede tremila azionisti in camicia verde. Da quel momento la Padania comincia a elogiare il Governatore. Che conserva la poltrona.

Poi c’è la sinistra: anche lì, ottimi sponsor. Nell’arrampicata dell’Antonveneta, Fiorani ha due sherpa d’eccezione: la Hopa di Chicco Gnutti, già “capitano coraggioso” di D’Alema nell’affare Telecom; e l’Unipol di Giovanni Consorte, la potentissima assicurazione delle coop. Tutti soci di Bpl, insieme a Barilla, Colaninno, Emilio Riva (quello degli acciai) e i palazzinari romani al seguito di Stefano Ricucci. Ma la banca padovana è un boccone troppo appetitoso per non portare inimicizie: il Ragioniere si gioca i rapporti con Cesare Geronzi di Capitalia, l’altro pupillo di Fazio; e incontra sulla sua strada un osso duro come Guido Rossi, consulente degli olandesi. Che denunciano Bpl alla Procura di Milano. L’ennesimo guaio giudiziario. Ma il Ragioniere è abituato. Già qualche anno fa, diceva di sè: “Non finirò all’inferno, ma mille anni in Purgatorio sono probabili”. E lui, anche nell’Aldilà, ha le sue brave aderenze."

lunedì 28 dicembre 2009

LA BANCA RASINI



Pensiamo che solo leggendo in modo attento il passato si possa capire meglio il presente e farsi un idea sul futuro. Continueremo a pubblicare un pò di storia recente ...(1)
IdV Gualtieri

La Banca Rasini era una piccola banca milanese, nata negli anni '50 ed inglobata nella Banca Popolare di Lodi nel 1992. Il motivo principale della sua fama è che tra i suoi clienti principali si annoveravano i criminali Pippo Calò, Totò Riina, Bernardo Provenzano (al tempo, uomini guida della Mafia) e l'imprenditore e uomo politico Silvio Berlusconi, il cui padre Luigi Berlusconi ivi lavorava come funzionario. Le dichiarazioni di Michele Sindona sulla Banca Rasini la fanno citare più volte da Nick Tosches, un giornalista del New York Times, nel suo libro I misteri di Sindona, e l'hanno resa nota tra gli studiosi internazionali che si occupano della storia della Mafia italiana.
STORIA
La "Banca Rasini Sas di Rasini, Ressi & C." viene fondata all'inizio degli anni '50 dai milanesi Carlo Rasini, Gian Angelo Rasini, Enrico Ressi, Giovanni Locatelli, Angela Maria Rivolta e Giuseppe Azzaretto. Il capitale iniziale è di 100 milioni di lire. Sin dalle sue origini la banca è un punto di incontro di capitali lombardi (principalmente quelli della nobile famiglia milanese dei Rasini, proprietaria del feudo di Buccinasco) e palermitani (quelli provenienti da Giuseppe Azzaretto, uomo di fiducia di Giulio Andreotti in Sicilia). [1]
Nel 1970 Dario Azzaretto, figlio di Giuseppe, diviene socio della banca. Sempre nel 1970, il procuratore della banca Luigi Berlusconi (padre di Silvio Berlusconi) ratifica un'operazione destinata ad avere un peso nella storia della Rasini: la banca acquisisce una quota della Brittener Anstalt, una società di Nassau legata alla Cisalpina Overseas Nassau Bank, nel cui consiglio d'amministrazione figurano nomi destinati a divenire famosi, come Roberto Calvi, Licio Gelli, Michele Sindona e monsignor Paul Marcinkus.
Nel 1973 la Banca Rasini diviene una S.p.a., ed il controllo passa dai Rasini agli Azzaretto. Il Consiglio di Amministrazione della Banca Rasini S.p.a. è costituito da Dario e Giuseppe Azzaretto, Mario Ungaro (avvocato romano e noto amico di Michele Sindona e Giulio Andreotti), Rosolino Baldani e Carlo Rasini.[2]
Ma nel 1974, nonostante l'ottima situazione finanziaria della Banca Rasini (che nell'ultimo anno aveva guadagnato oltre un quarto del suo capitale), Carlo Rasini lascia la banca fondata dalla sua famiglia, dimettendosi anche dal ruolo di consigliere. Secondo gli analisti, le ragioni delle dimissioni di Carlo Rasini sono da cercarsi nella sua mancanza di fiducia verso il resto del Consiglio di Amministrazione, e degli Azzaretto in particolare.
Sempre nel 1974, Antonio Vecchione diviene Direttore Generale, ed in soli dieci anni il valore della banca esplode, passando dal miliardo di lire nel 1974 al valore stimato di circa 40 miliardi di lire nel 1984.
Il 15 febbraio 1983 la Banca Rasini sale agli onori della cronaca, per via dell'"Operazione San Valentino". La polizia milanese effettua una retata contro gli esponenti di Cosa Nostra a Milano, e tra gli arrestati figurano numerosi clienti della Banca Rasini, tra cui Luigi Monti, Antonio Virgilio e Robertino Enea. Si scopre che tra i correntisti miliardari della Rasini vi sono Totò Riina e Bernardo Provenzano. Anche il direttore Vecchione e parte dei vertici della banca vengono processati e condannati, in quanto emerge il ruolo della Banca Rasini come strumento per il riciclaggio dei soldi della criminalità organizzata.
Dopo il 1983, Giuseppe Azzaretto cede la banca a Nino Rovelli. Nino Rovelli è un imprenditore (noto soprattutto per la vicenda Imi-Sir) e non ha esperienza nel settore bancario. Nelle inchieste tuttora in corso sulla Banca Rasini, Nino Rovelli è spesso considerato un uomo che ha coperto la vera dirigenza della banca fino al 1992. Tuttavia, non esistono evidenze al riguardo, né ipotesi sui nomi dei veri amministratori della Banca.
Nel 1992 la Banca Rasini viene inglobata nella Banca Popolare di Lodi, ma è solo nel 1998 che la Procura di Palermo mette sotto sequestro tutti gli archivi della banca. I giudici di Palermo, anche a seguito delle rivelazioni di Michele Sindona (intervista del 1985 ad un giornalista americano, Nick Tosches) e di altri "pentiti", indicano la stessa banca Rasini come coinvolta nel riciclaggio di denaro di provenienza mafiosa. Tra i correntisti della banca figurava anche Vittorio Mangano, il mafioso che lavorò come fattore nella villa di Silvio Berlusconi dal 1973 al 1975.
LEGAMI CON LA MAFIA
La Banca Rasini deve la sua fama tra gli studiosi della storia d'Italia soprattutto alle dichiarazioni di Michele Sindona del 1984. Quando il giornalista del New York Times, Nick Tosches, chiese a Sindona (poco prima della misteriosa morte di quest'ultimo): «Quali sono le banche usate dalla mafia?». Sindona rispose: «In Sicilia il Banco di Sicilia, a volte. A Milano una piccola banca in Piazza dei Mercanti». In effetti, le indagini successive alla retata dell'Operazione San Valentino dimostrarono ampiamente il ruolo della Banca Rasini nel riciclaggio dei soldi della mafia, ed i contatti dell'istituto coi più alti vertici mafiosi. Il Commissario di Polizia Calogero Germanà ha ipotizzato che l'istituto, al pari della Banca Sicula di Trapani, fosse uno dei centri per il riciclaggio del denaro sporco di Cosa Nostra.
LEGAMI CON LA FAMIGLIA BERLUSCONI
Tra i personaggi famosi con cui la Banca Rasini ebbe dei legami va citato l'imprenditore e uomo politico Silvio Berlusconi. Il padre di Silvio Berlusconi, Luigi Berlusconi fu prima un impiegato alla Rasini, quindi procuratore con diritto di firma, ed infine assunse un ruolo direttivo all'interno della stessa[3]. La Banca Rasini, e Carlo Rasini in particolare, furono i primi finanziatori di Silvio Berlusconi all'inizio della sua carriera imprenditoriale. Silvio e suo fratello Paolo Berlusconi avevano un conto corrente alla Rasini, così come numerose società svizzere che possedevano parte della Edilnord, la prima compagnia edile con cui Silvio Berlusconi iniziò a costruire la sua fortuna.
La Banca Rasini risulta anche nella lista di banche ed istituti di credito che gestirono il passaggio dei finanziamenti di 113 miliardi di lire (equivalenti ad oltre 300 milioni di euro nel 2006) che ricevette la Fininvest, il gruppo finanziario e televisivo di Berlusconi, tra il 1978 ed il 1983.
Il giornale inglese The Economist cita ripetutamente la Banca Rasini nel suo noto reportage su Silvio Berlusconi[4], sottolineando come, ad avviso dei recensori del reportage, Berlusconi abbia effettuato transazioni illecite per mezzo della banca. È stato infatti accertato che Silvio Berlusconi ha registrato presso la banca ventitré holding come negozi di parrucchiere ed estetista. Anche per fare chiarezza su questi fatti nel 1998 l'archivio della banca è stato messo sotto sequestro.

(Contributo tratto da Wikipedia)

giovedì 24 dicembre 2009

BUON NATALE (anche a chi soffre).


Domani è Natale, un giorno importante per coloro che credono nei valori della cristianità. Ma anche chi proprio non si riconosce in certi valori, si adegua.

Segno importante.
Il messaggio di PACE che ci arriva dal Natale è condiviso.

Tutto può cambiare; ognuno di noi può cambiare.


Che questo Natale aiuti chi, senza ritegno , continua a mostrare "la pagliuzza nell'occhio del fratello" a vedere e a togliere prima la trave dal proprio occhio.

Che questo Natale aiuti tutti coloro che ricoprono incarichi di guida e di Governo, che per egoismo o cecità non vedono le sofferenze del MONDO che ci circonda, a vedere e a riflettere per poi cambiare.

Noi lo speriamo.

UN BUON NATALE, SERENO E RIFLESSIVO, A TUTTI !


IdV Gualtieri

venerdì 18 dicembre 2009

I MAESTRI D'ODIO IN CAMICIA VERDE


Dal Blog dell'On. Donadi.

"Si parla molto in questi giorni di clima d’odio e della necessità di riportare la politica sui binari della ragionevolezza e della pacatezza. A furia di occuparci di Berlusconi, indubbiamente un serio problema per la democrazia, abbiamo tutti dimenticato le gravi responsabilità della Lega che, negli ultimi quindici anni, ha avvelenato i pozzi, ha seminato odio e razzismo nel terreno fertile della paura.

Dalle famigerate cacce al terrone
dei primi anni novanta, all’indipendenza della padania, fino ad arrivare all’odierna rimozione del prefetto di Venezia ad opera del ministro Maroni, macchiatosi del grave delitto di non essersi opposto all’insediamento di 38 famiglie rom, quello della Lega è un excursus bestiale.

Prima erano solo parole feroci. Ora sono fatti, azioni bestiali. Oggi è razzismo e xenofobia. Nel 1994, Bossi diceva che la vita di un magistrato non valeva 300 lire, ovvero, il costo di una pallottola. Nel 1997, spiegava agli italiani cosa amasse farne del tricolore. Contro Roma ladrona invocava i fucili. Sugli immigrati, dicevano che dovevano andare a pisciare nelle loro moschee.

La Lega ha seminato in quindici lunghi e pazienti anni. E dopo la semina sono arrivati i frutti, mostruosi però. Come quello del consigliere comunale Bettio che, contro i negri, ha invocato il metodo delle Ss, ovvero, punirne dieci per ogni torto fatto ad un italiano. Come quello dell’europarlamentare Salvini che ha proposto le carrozze della metropolitana per soli milanesi. Come quello dei deputati della Lega che hanno proposto di togliere la cassa integrazione agli immigrati, a dispetto del fatto che sono cittadini italiani e che pagano le tasse. Come quello del White Cristhmas dell’assessore leghista Abiendi di Coccaglio, in provincia di Brescia, l’invito ai cittadini a denunciare tutti gli extracomunitari presenti al fine di scovare eventuali clandestini e dar vita ad una maxi retata natalizia. Come i continui richiami ai valori del cattolicesimo, in maniera strumentale e becera, come facevano i nazisti al grido “Dio è con noi”.

Per arrivare a quanto sta succedendo a Cologne, paesino della bassa bresciana, raccontato ieri ad Annozero, dove si è vietato alla comunità musulmana di pregare nella moschea. Non importa che siano cittadini italiani da decenni, onesti e lavoratori e che pagano le tasse. Siamo all’odio razziale.Di fronte a tutto questo, ognuno deve fare la sua parte di autocritica. Noi dell’opposizione che, troppo tolleranti, abbiamo occhieggiato più volte alla Lega. Ma soprattutto la maggioranza che, totalmente presa ed assorbita dai problemi giudiziari del premier, ha delegato ad essa la politica sulla sicurezza e sull’immigrazione. Ma la Lega non è la risposta a tali questioni, è semmai il sintomo grave della tensione sociale provocata da un problema epocale e mondiale come quello dell’immigrazione.

La Lega sa declinare la sicurezza e l’immigrazione solo in termini di xenofobia. Finché non si capirà questo non si farà un passo in avanti. Solo drammatici passi indietro."

giovedì 17 dicembre 2009

PROVE TECNICHE DI REGIME


Dal Blog dell'On. Donadi

"La puntata di ieri de “La vita in diretta” è la riprova che siamo al regime mediatico. Dopo i tg, anche i contenitori televisivi pomeridiani diventano il luogo dove si cancella la realtà, si distorcono i fatti e si mette il bavaglio all’opposizione. Stanno progressivamente cancellando la voce dell’opposizione e lo fanno con una tecnica sopraffina. Ieri, però, il sottoscritto ha rotto il giochino nelle mani di questi signori, lasciandoli a becco asciutto.

Non mi mancavano certo gli argomenti per controbattere parola per parola alle fandonie sparate a raffica da giornalisti ospiti insieme a me della trasmissione. Ma ci sono momenti in cui il silenzio ed i gesti sono più eloquenti di mille parole.

Vi spiego.Lunedì pomeriggio “La vita in diretta” ha messo in scena un vero e proprio processo mediatico a Italia dei Valori.

Tutti gli ospiti presenti, oltre al solito Capezzone, ormai parodia di se stesso, alcuni giornalisti, hanno per più di un’ora insultato, strumentalizzato, mentito, ribaltato le nostre posizioni pur di farci apparire agli occhi dei telespettatori istigatori d’odio. Ovviamente, non era stato invitato nessun rappresentante di Italia dei Valori a difendere e spiegare le proprie ragioni.

Ieri, dunque, sarebbe dovuta andare in scena la puntata riparatrice, ma si capiva, sin dalle prime battute, che quelli che avevo accanto non erano ospiti di un normale ed equilibrato parterre televisivo: era stato messo su “ad arte” un vero e proprio plotone di esecuzione, i cui più fieri componenti erano due sedicenti ed illustri giornalisti, Pierluigi Diaco e Maria Giovanna Maglie.Del primo, si ricordano i successivi molteplici, affannati e, qualche volta, sghangherati tentativi di ritagliarsi uno spazio da “grande” giornalista. L’ambizione a diventare bravo come Travaglio ci è parsa tanta, la rabbia pure. Per il talento, attendiamo con ansia. Per ora, rimangono a memoria dell’umanità più i litigi in tv di cui si è reso protagonista che gli articoli a sua firma pubblicati sul quotidiano Clandestino, edito da Mondadori (!) e di cui è vicedirettore e che probabilmente vanta il più basso numero di lettori in Italia.Della seconda, Maria Giovanna Maglie, si ricordano i conti milionari dal visagista quando era corrispondente del Tg2 dall’America, le fatture false per decine di migliaia di dollari rimessi alla Rai e intestati a società inesistenti, ricevute per compensare collaboratori fasulli e gente in pensione, insomma, le carte truccate per coprire spese ingiustificabili che le costarono il posto in Rai. Non lo dico io ma un articolo di Concita De Gregorio (link) oggi direttore de L’Unità ed allora cronista de la Repubblica. E poi c’erano altri giornalisti, quelli che, in teoria, avrebbero dovuto equilibrare la presenza di tali illustri firme ma che, nei fatti, ogni giorno scrivono e massacrano Italia dei Valori dalle colonne dei giornali per i quali scrivono.Lascio a voi ogni giudizio.

A me rimane una certezza, quella di aver ascoltato insulti, rabbia e disprezzo, urlati probabilmente per acquisire credenziali agli occhi dell’onnipotente patron di Mediaset, alias, il presidente del Consiglio. Ma il sottoscritto gli ha riservato una piccola sorpresa. Si è alzato e se ne è andato, rompendogli il giochino.

Loro sono rimasti li, a continuare ad urlare il loro livore e le loro menzogne.

Io sono tornato in Parlamento a lavorare per cercare di contribuire a risollevare le sorti di questo Paese e a contrastare l’azione sbagliata di questo Governo e di questa maggioranza."

martedì 15 dicembre 2009

ORA CI VOGLIONO ZITTIRE.

L'episodio di violenza che ha visto vittima il Premier Berlusconi ha originato uno sciacallaggio mediatico da parte dei "soliti noti" del PDL.

Cicchitto, Capezzone & Company invece di abbassare i toni, come saggiamente indicato dal Presidente Napolitano, hanno lanciato i loro strali contro l'On. Di Pietro e l'Italia dei Valori.

Secondo questi campioni di "serietà, saggezza e pacatezza", l'On. Di Pietro e l'IdV sarebbero colpevoli di avere avvelenato il clima politico ed avere provocato il gesto sconsiderato del sig.Tartaglia.

La vera colpa dell'On Di Pietro e dell'IdV è quella di essere un ostacolo duro, ma democratico, per un Governo che mostra di essere insofferente al Parlamento e alle regole della Costituzione.

Anche oggi il Presidente della Camera ha definito "deprecabile" l'ennesima questione di fiducia posta dalla maggioranza sulla manovra Finanziaria. Come si può dialogare con chi nei fatti non ha nessuna intenzione di dialogare?

Gli italiani si aspettano che il Governo affronti i tanti problemi che oggi li preoccupano, a partire dal lavoro che manca. Questa Maggioranza è stata eletta per governare nell'interesse di tutto il POPOLO ITALIANO. Occorre rispettare il POPOLO ITALIANO, il Presidente della Repubblica, i Giudici e soprattutto è necessario riconoscere e riconoscersi nei valori della COSTITUZIONE ITALIANA.

Finchè ci sarà qualcuno che mette in discussione i principi della COSTITUZIONE non staremo zitti.

IdV Gualtieri

lunedì 14 dicembre 2009

NO ALLA VIOLENZA! SOLIDARIETA' AL PREMIER

La VIOLENZA è un atto da CONDANNARE senza esitazioni e senza distingui.

Al Capo del Governo và la nostra solidarietà e l'augurio di una pronta guarigione.

Questo spiacevole episodio deve fare riflettere tutti coloro che ricoporono ruoli di primo piano nelle istituzioni e fuori dalle istituzioni.

Occorre abbassare i TONI dello scontro POLITICO e ricondurre la vita democratica nel rispetto e nei VALORI della COSTITUZIONE ITALIANA.

Idv Gualtieri

domenica 13 dicembre 2009

Ora c'è da avere paura ...

Il non volere riconoscere super partes, per propria convenienza, le Istituzioni di Garanzia dello Stato non può portare a nulla di buono. Ora più di prima c'è da preoccuparsi seriamente.
Oggi le persone ragionevoli all'interno del PDL dovrebbero prendere le distanze da questo personaggio che ha a cuore, come sempre, solo i propri interessi. FINI è l'unico politico all'interno del PDL che ha preso le distanze da questo modo osceno e folle di far politica. FINI è anche l'unico POLITICO di valore, che brilla di luce propria, all'interno del PDL. Gli altri personaggi di primo piano dello schieramento PDL, che quotidianamente appaiono nei vari programmi televisivi difendendo a prescindere le posizioni di Berlusconi, sono solo dei fantocci al servizio del Capo.

Scandaloso il SILENZIO/ASSENSO della LEGA; un tempo non lontano BOSSI definiva BERLUSCONI mafioso.
Ora cosa è cambiato ? ...
IdV Gualtieri


Pubblichiamo un contributo dell'On. Donadi che condividiamo in toto.


"La lucida follia di Berlusconi" di Massimo Donadi
"Silvio Berlusconi è fuori di sé, ormai straparla. Le frasi pronunciate ieri a Bonn sono un attacco di una violenza inaudita ai maggiori organi di garanzia del Paese, Quirinale, Corte Costituzionale e Csm. A nulla valgono le giustificazioni avanzate dai suoi. Tentare di sminuire le affermazioni del premier, sostenendo che le ha pronunciate non in un contesto ufficiale ma durante una riunione di partito, è patetica e fa ridere.Ma sarebbe un errore ridurre lo spettacolo messo in scena ieri dal premier ad una macchietta da avanspettacolo. Così come sarebbe riduttivo derubricare le sue esternazioni a quelle di un pazzo.

Quella del presidente del Consiglio è una lucida follia che nasconde un piano preciso: andare ad elezioni anticipate per un nuovo plebiscito su di sé.Silvio Berlusconi è sempre più solo, si sente assediato, abbandonato dal suo alleato Fini, ricattato dalla Lega. I suoi onorevoli-avvocati annaspano, ormai da troppo tempo, alla ricerca di una soluzione per tirarlo fuori dai suoi enormi guai giudiziari. E’ ad un passo dalla galera, sente l’orologio giudiziario che avanza, ha paura perché sa che tutti i lodi, lodini e ddl brevi del mondo stavolta non lo salveranno.Ed è qui che scatta il disegno folle di Silvio Berlusconi. Di fronte ai suoi problemi, che stanno immobilizzando l’attività di governo ormai da tempo immemorabile, invece di pensare al bene del Paese, così come qualunque uomo di Stato penserebbe primariamente a fare, sparge veleno e trascina nel fango le istituzioni. Più fango pensa gli venga buttato addosso, più lui trascina il Paese e le istituzioni verso il baratro.

Nutre ormai un fastidio profondo ed incontrollato per il Parlamento, quel luogo dove per lui si perde tempo ad esercitare la democrazia. Lancia strali contro la prima carica dello Stato, il presidente della Repubblica, invitandolo ad occuparsi delle toghe comuniste che sono comuniste perché lui è comunista e comunisti erano pure i tre presidenti prima di lui.

Questo è il vero comportamento criminale di Silvio Berlusconi che non è certo uno statista e mostra, se mai ce ne fosse bisogno, totale disprezzo per il bene del Paese e degli italiani. Berlusconi sta mettendo a rischio la pace sociale e sta massacrando le istituzioni. Invece di occuparsi della crisi economica che sta mettendo in ginocchio le imprese e impoverendo famiglie e lavoratori, costringe il Parlamento ad occuparsi delle sue vicende e dei suoi interessi personali.

Vuole cambiare la Costituzione ed è disposto a garantire l'impunità a migliaia e migliaia di criminali solo per sfuggire ai suoi processi. L'Italia non può permettersi di rimanere in balia di quest'uomo che, per salvare se stesso, sta sfasciando lo Stato. L’Italia merita qualcosa di meglio."

sabato 5 dicembre 2009

OGGI A ROMA IL NO B-DAY





Oggi a Roma la manifestazione organizzata dal Popolo della Rete a cui l'Italia dei Valori ha aderito. La manifestazione si propone di evidenziare in modo tangibile che BERLUSCONI non è gradito come PRESIDENTE DEL CONSIGLIO.


Primo, perchè non è certamente quello che si dice un BUON ESEMPIO per gli italiani o almeno per coloro che credono nei valori della COSTITUZIONE.

Secondo, perchè come CAPO DEL GOVERNO se ne frega delle difficoltà degli italiani che non hanno la fortuna di avere conti correnti floridi.

Il lavoro che manca per LUI non è un problema; da sempre la GIUSTIZIA è uno dei suoi problemi, ed infatti il GOVERNO, in questi giorni, è impegnato a trovare il modo per risolvere un SUO problema.

Pensiamo che un GOVERNO SERIO debba avere come obiettivo principale gli interessi degli ITALIANI; di TUTTI gli ITALIANI.

Cari GOVERNANTI se avete ancora, da qualche parte, un briciolo di MORALITA' potete cambiare questo cattivo andazzo; potreste tenere un po di più in considerazione il "vostro" Gianfranco FINI, uomo sicuramente diverso da BERLUSCONI.

Altrimenti vi resta un altra alternativa: DIMETTETEVI.

IdV Gualtieri
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