Benvenuti nel blog di IdV Gualtieri

Lo scopo di questo blog è di dare la possibilità, a chi non ci conosce personalmente, di segnalarci situazioni particolari sul territorio ed eventualmente suggerirci migliorie da realizzare. Inoltre vorremmo trattare avvenimenti politici a carattere nazionale ed internazionale, condividendoli con tutti coloro che lo vorranno.

domenica 25 aprile 2010

Onore e rispetto ai Partigiani e agli alleati.



Oggi è il 25 Aprile; Festa della liberazione d'Italia dall'occupazione nazi-fascista.

Voglio ricordare con ammirazione tutti coloro, uomini e donne, che hanno partecipato a tale evento. Onore e rispetto per tutti coloro che mi hanno permesso, con il loro sacrificio, di nascere uomo libero in uno Stato libero ...

Ennio Annibale Maione

sabato 24 aprile 2010

25 Aprile, la Storia non si cambia !!!

Il 25 aprile rappresenta un giorno fondamentale per la storia della Repubblica italiana. E’ l’anniversario della rivolta armata partigiana e popolare contro le truppe di occupazione naziste tedesche e contro i loro fiancheggiatori fascisti della Repubblica Sociale Italiana.

Alla liberazione dell’Italia dall'occupazione nazista e dalla dittatura fascista si è potuto arrivare grazie al sacrificio di tanti, giovani e non che, pur appartenendo ad un ampio ed eterogeneo schieramento politico (dai comunisti ai militari monarchici, passando per i gruppi cattolici, socialisti ed azionisti), si chiamavano con un solo nome: PARTIGIANI; combatterono al fianco di molti soldati provenienti da paesi diversi e lontani (dagli Stati Uniti all’Australia, senza dimenticare Inglesi e Francesi), ma tutti accolti come ALLEATI.

La STORIA dell’Italia repubblicana fonda interamente le proprie basi nell’esperienza dell’antifascismo che Piero Calamandrei definì “quel monumento che si chiama ora e sempre Resistenza”.

La Resistenza non è stata una "Guerra civile". Essa non è stata affatto una guerra di italiani contro italiani, come, in Spagna nel 1936, si era avuto uno scontro di spagnoli contro spagnoli.
In ITALIA vi fu lo scontro tra soldati e combattenti italiani contro gli invasori tedeschi ed i LORO collaboratori repubblichini, i primi, nel rispetto della pluralità politica, combattevano in nome della democrazia liberale o socialista che fosse, i secondi combattevano a fianco delle SS hitleriane sostenitrici della necessità di conquistare uno “spazio vitale” per la Germania nazista.

La RESISTENZA fu il momento storico in cui si affrontarono i sostenitori della libertà, della democrazia e della giustizia sociale contro gli adulatori della tirannide.

Premesso il rispetto per tutti i morti, ci opponiamo a quanto proposto, oggi più che mai, da più parti (politiche e non) di trasformare il 25 aprile nel giorno della pacificazione nazionale per ricordare i morti: i morti, tutti i morti, si commemorano il 2 novembre.
Il 25 APRILE è, e dovrà restare, la FESTA DELLA LIBERAZIONE!
Quella giornata di 65 anni fà ha posto le basi per la nascita della Nostra COSTITUZIONE.

Non riconoscere il 25 Aprile è il primo passo verso lo stravolgimento, che qualcuno chiama riforma, della COSTITUZIONE ITALIANA.

La Storia non si cambia. Il 25 APRILE è la giornata dei PARTIGIANI e non dei FASCISTI. Ora e sempre RESISTENZA.

IdV Gualtieri

mercoledì 21 aprile 2010

Gigi Riva: "Io padano doc dico a Bossi jr: l'Italia non ha bisogno di te"




di Paolo Salvatore Orrù

"Non ho mai detto che non tiferò per l' Italia, ma non sarò davanti alla televisione a guardare le partite" ha chiarito Renzo Bossi, ai microfoni dell'Alfonso Signorini Show (Radio Monte Carlo). Ben addestrati, i giovani politici imparano presto a fare dietro front. Soprattutto quando le parole usate con troppa incoscienza possono diventare dannose alla causa. Ritrattare è semplice, basta accusare il giornalista di turno – questa volta quello di Vanity Fair - di non aver saputo interpretare con ponderatezza tutta la complessità del verbo.

Il dietro front del leghista non ha impressionato l’ex ala sinistra della Nazionale e del Cagliari, Gigi Riva. Diventato, grazie a Gianni Brera, l'antesignano, il simbolo del “padano” doc (l’ex azzurro è nato a Leggiuno, in provincia di Varese) quando la Lega di Umberto Bossi non era ancora nata politicamente. “Io sono cresciuto a non più di cinque chilometri da dove è nato Bossi jr. Così mi sono fatto un’idea su di lui: o è un esaltato e allora sarebbe facile spiegare il significato delle sue parole. Oppure è uno che merita un calcio nel sedere: la politica deve tornare ad essere una cosa seria non un gioco per figli di papà”.

C’è chi viene al mondo per nuotare libero nel mare delle idee e chi invece si accontenta di fare qualche bracciata nelle acque del Po. "Ho solo detto che oggi la nostra idea è quella di cambiare il Paese modificandolo in senso federale seguendo il progetto della Lega. I giornalisti, si sa, esasperano spesso il senso di certe dichiarazioni", ha detto nel corso del Signorini Show il figlio del leader della Lega. L’ex calciatore non mai avuto bisogno di due interviste per spiegare un concetto.

Per lui la Patria non è la Padania è l’Italia: “Il tricolore mi commuove ancora. L’inno di Mameli mi fa venire i brividi. Le esternazioni di Bossi jr documentano che il nostro Paese sta vivendo un momento poco esaltante, incapace di offrire prospettive politiche migliori”.Per Riva il Paese è un’entità complessa che non può essere circoscritta dagli interessi di parte. “Il Sud è un po’ più indietro perché ha subito i condizionamenti dello Stato: se nella Penisola non avessero scoperto il mare della Sardegna, l’Isola sarebbe ancora stata considerata la regione in cui sbattere il carabiniere che si comporta male. Purtroppo la Sardegna - ma è un ragionamento che vale anche per le altre regioni del Sud - ha mandato al Parlamento politici che poi non si sono mai interessati dei problemi dei territori che avrebbero dovuto rappresentare”.

In politica come nel calcio Riva teme – è avvenuto anche dopo la vittoria azzurra ai Mondiali del 2006 – la comparsa dei “lenzuoli bianchi”. Ovvero la comparsa di quei politici che hanno fatto propria la vittoria e l’hanno commentata cosa se fosse cosa loro. Leghisti compresi. “Nel 2006, quando siamo partiti da Pisa alla volta di Monaco all’aeroporto non c’erano politici. Sono saliti sul treno dei vincitori con il passare dei turni”. Questa è una caratteristica che va al di là di qualunque connotazione politica: “Senatori e onorevoli corrono come mosche dove ci sono televisioni, fotografi, giornali. Altrimenti dicono di avere un impegno urgente da altre parti: la sconfitta – si sa - non ha mai né padre né madre. Invece siamo arrivati fino alla fine e siamo stati festeggiati in tutta l’Italia. Lombardia, Veneto e Piemonte comprese”, conclude Riva.

Fonte: Tiscali.it

lunedì 19 aprile 2010

PREDICARE BENE E RAZZOLARE MALE.


Nel 2009 il Veneto, che ha appena tributato un consenso elettorale record alla Lega, ha perso circa 52.000 posti di lavoro, il numero dei disoccupati ha raggiunto il livello di 126.500 persone. Secondo l’agenzia Veneto Lavoro il prodotto interno lordo in questa regione chiave dell’economia nazionale è calato del 4,8% lo scorso anno, il prodotto pro-capite è sceso ai livelli di dieci anni fa e un recupero sulla media del 2008 sarà possibile solo nel 2015, se tutto andrà per il meglio. I più colpiti, quelli che pagano gli effetti più duri della crisi, sono gli operai maschi, stranieri e con un contratto a tempo determinato. Sono stati licenziati, difficilmente troveranno un’occupazione nel breve-medio periodo.

Questa è la realtà sociale ed economica del Veneto. Una realtà difficile come in molte altre regioni italiane. Poi c’è la politica, ci sono le amministrazioni, ci sono i nuovi leader leghisti. Uno si aspetterebbe che davanti a una crisi spaventosa e dopo una vittoria elettorale senza condizioni gli amministratori di Bossi affrontassero questo momento delicato con piglio deciso e provvedimenti adeguati all’emergenza. Ma, per ora, bisogna aspettare. Anche gli uomini della Lega tengono famiglia e amano i piaceri del potere.

A Treviso i leghisti rifanno la sede della provincia come se fosse una reggia spendendo senza ritegno e comprando pure un tavolo di cristallo da 12mila euro ma poi negano i soldi alle scuole. La presidente della provincia e sindaco di San Donà Francesca Zaccariotto, astro nascente della Lega, appena eletta si era aumentata lo stipendio. Altri amministratori e sindaci leghisti, ad esempio ad Asolo e in altri comuni del trevigiano, hanno pensato che, crisi o non crisi, è giunto il momento di arrotondare stipendi e indennità perché non si vive solo di aria e di gloria politica.


Sono solo alcuni esempi della Lega di governo e di sottogoverno raccontati nell’inchiesta di Toni Fontana che offre un punto di vista diverso e alternativo sulla classe di governo di Bossi che, accanto ad amministratori abili e presentabili, propone il sindaco di Adro che non vuole dare da mangiare ai bambini delle famiglie morose o la giunta di Brescia che nega il bonus bebè ai figli degli immigrati.

Oggi che la Lega ha in mano la guida del Piemonte e del Veneto, e partecipa al governo in Lombardia puntando anche a Palazzo Marino a Milano, mostra sul territorio la sua faccia feroce coi più deboli e, su un livello più alto di potere, capitalizza il numero dei voti esigendo, come ha detto esplicitamente Bossi, «le banche del Nord, perché ce lo chiede il popolo» e punta a infilare i suoi uomini nei consigli di amministrazione delle grandi aziende di Stato e nelle municipalizzate. Come si può contrastare questa Vandea?

Con la presenza, la testimonianza forte di una politica diversa. Tonino Guerra ha scritto al Corriere della Sera per proporre al presidente della Repubblica di scegliere come senatore l’italiano «che non ci sta», l’imprenditore Silvano Lancini che ha pagato i diecimila euro di rette arretrate della mensa dei bambini di Adro. Una speranza.

Fonte: Unita.it
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domenica 18 aprile 2010

LETTERA DI ROBERTO SAVIANO A BERLUSCONI



"Presidente Silvio Berlusconi, le scrivo dopo che in una conferenza stampa tenuta da lei a Palazzo Chigi sono stato accusato, anzi il mio libro è stato accusato di essere responsabile di "supporto promozionale alle cosche". Non sono accuse nuove. Mi vengono rivolte da anni: si fermi un momento a pensare a cosa le sue parole significano. A quanti cronisti, operatori sociali, a quanti avvocati, giudici, magistrati, a quanti narratori, registi, ma anche a quanti cittadini che da anni, in certe parti d'Italia, trovano la forza di raccontare, di esporsi, di opporsi, pensi a quanti hanno rischiato e stanno tutt'ora rischiando, eppure vengono accusati di essere fiancheggiatori delle organizzazioni criminali per il solo volerne parlare. Perché per lei è meglio non dire; è meglio la narrativa del silenzio. Del visto e taciuto. Del lasciar fare alle polizie ai tribunali come se le mafie fossero cosa loro. Affari loro. E le mafie vogliono esattamente che i loro affari siano cosa loro, Cosa nostra appunto è un'espressione ancor prima di divenire il nome di un'organizzazione.

Io credo che solo e unicamente la verità serva a dare dignità a un Paese. Il potere mafioso è determinato da chi racconta il crimine o da chi commette il crimine?

Il ruolo della 'ndrangheta, della camorra, di Cosa nostra è determinato dal suo volume d'affari - cento miliardi di euro all'anno di profitto - un volume d'affari che supera di gran lunga le più granitiche aziende italiane. Questo può non esser detto? Lei stesso ha presentato un dato che parla del sequestro alle mafie per un valore pari a dieci miliardi di euro. Questo significa che sono gli scrittori ad inventare? Ad esagerare? A commettere crimine con la loro parola? Perché? Michele Greco il boss di Cosa Nostra morto in carcere al processo contro di lui si difese dicendo che "era tutta colpa de Il Padrino" se in Sicilia venivano istruiti processi contro la mafia. Nicola Schiavone, il padre dei boss Francesco Schiavone e Walter Schiavone, dinanzi alle telecamere ha ribadito che la camorra era nella testa di chi scriveva di camorra, che il fenomeno era solo legato al crimine di strada e che io stesso ero il vero camorrista che scriveva di queste storie quando raccontava che la camorra era impresa, cemento, rifiuti, politica.

Per i clan che in questi anni si sono visti raccontare, la parola ha rappresentato sempre un affronto perché rendeva di tutti informazioni e comportamenti che volevano restassero di pochi. Perché quando la parola rende cittadinanza universale a quelli che prima erano considerati argomenti particolari, lontani, per pochi, è in quell'istante che sta chiamando un intervento di tutti, un impegno di molti, una decisione che non riguarda più solo addetti ai lavori e cronisti di nera. Le ricordo le parole di Paolo Borsellino in ricordo di Giovanni Falcone pronunciate poco prima che lui stesso fosse ammazzato. "La lotta alla mafia è il primo problema da risolvere ... non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione ma un movimento culturale e morale che coinvolga tutti e specialmente le giovani generazioni le spinga a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale della indifferenza della contiguità e quindi della complicità. Ricordo la felicità di Falcone quando in un breve periodo di entusiasmo mi disse: la gente fa il tifo per noi. E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l'appoggio morale dà al lavoro dei giudici, significava soprattutto che il nostro lavoro stava anche smuovendo le coscienze".

Il silenzio è ciò che vogliono. Vogliono che tutto si riduca a un problema tra guardie e ladri. Ma non è così. E' mostrando, facendo vedere, che si ha la possibilità di avere un contrasto. Lo stesso Piano Caserta che il suo governo ha attuato è partito perché è stata accesa la luce sull'organizzazione dei casalesi prima nota solo agli addetti ai lavori e a chi subiva i suoi ricatti. Eppure la sua non è un'accusa nuova. Anche molte personalità del centrosinistra campano, quando uscì il libro, dissero che avevo diffamato il rinascimento napoletano, che mi ero fatto pubblicità, che la mia era semplicemente un'insana voglia di apparire. Quando c'è un incendio si lascia fuggire chi ha appiccato le fiamme e si dà la colpa a chi ha dato l'allarme? Guardando a chi ha pagato con la vita la lotta per la verità, trovo assurdo e sconfortante pensare che il silenzio sia l'unica strada raccomandabile. Eppure, Presidente, avrebbe potuto dire molte cose per dimostrare l'impegno antimafia degli italiani. Avrebbe potuto raccontare che l'Italia è il paese con la migliore legislazione antimafia del mondo. Avrebbe potuto ricordare di come noi italiani offriamo il know-how dell'antimafia a mezzo mondo. Le organizzazioni criminali in questa fase di crisi generalizzata si stanno infiltrando nei sistemi finanziari ed economici dell'occidente e oggi gli esperti italiani vengono chiamati a dare informazioni per aiutare i governi a combattere le organizzazioni criminali di ogni genealogia. E' drammatico - e ne siamo consapevoli in molti - essere etichettati mafiosi ogni volta che un italiano supera i confini della sua terra. Certo che lo è. Ma non è con il silenzio che mostriamo di essere diversi e migliori.

Diffondendo il valore della responsabilità, del coraggio del dire, del valore della denuncia, della forza dell'accusa, possiamo cambiare le cose. Accusare chi racconta il potere della criminalità organizzata di fare cattiva pubblicità al paese non è un modo per migliorare l'immagine italiana quanto piuttosto per isolare chi lo fa. Raccontare è il modo per innescare il cambiamento. Questa è l'unica strada per dimostrare che siamo il paese di Giovanni Falcone, di Don Peppe Diana, e non il paese di Totò Riina e di Schiavone Sandokan.

Credo che nella battaglia antimafia non ci sia una destra o una sinistra con cui stare. Credo semplicemente che ci sia un movimento culturale e morale al quale aspirare. Io continuerò a parlare a tutti, qualunque sarà il credo politico, anche e soprattutto ai suoi elettori, Presidente: molti di loro, credo, saranno rimasti sbigottiti ed indignati dalle sue parole. Chiedo ai suoi elettori, chiedo agli elettori del Pdl di aiutarla a smentire le sue parole. E' l'unico modo per ridare la giusta direzione alla lotta alla mafia. Chiederei di porgere le sue scuse non a me - che ormai ci sono abituato - ma ai parenti delle vittime di tutti coloro che sono caduti raccontando. Io sono un autore che ha pubblicato i suoi libri per Mondadori e Einaudi, entrambe case editrici di proprietà della sua famiglia. Ho sempre pensato che la storia partita da molto lontano della Mondadori fosse pienamente in linea per accettare un tipo di narrazione come la mia, pensavo che avesse gli strumenti per convalidare anche posizioni forti, correnti di pensiero diverse.

Dopo le sue parole non so se sarà più così. E non so se lo sarà per tutti gli autori che si sono occupati di mafie esponendo loro stessi e che Mondadori e Einaudi in questi anni hanno pubblicato. La cosa che farò sarà incontrare le persone nella casa editrice che in questi anni hanno lavorato con me, donne e uomini che hanno creduto nelle mie parole e sono riuscite a far arrivare le mie storie al grande pubblico. Persone che hanno spesso dovuto difendersi dall'accusa di essere editor, uffici stampa, dirigenti, "comprati". E che invece fino ad ora hanno svolto un grande lavoro. E' da loro che voglio risposte.

Una cosa è certa: io, come molti altri, continueremo a raccontare. Userò la parola come un modo per condividere, per aggiustare il mondo, per capire. Sono nato, caro Presidente, in una terra meravigliosa e purtroppo devastata, la cui bellezza però continua a darmi forza per sognare la possibilità di una Italia diversa. Una Italia che può cambiare solo se il sud può cambiare. Lo giuro Presidente, anche a nome degli italiani che considerano i propri morti tutti coloro che sono caduti combattendo le organizzazioni criminali, che non ci sarà giorno in cui taceremo. Questo lo prometto. A voce alta."

Fonte: Repubblica.it

sabato 17 aprile 2010

Di Pietro corre in difesa di Saviano. Il Premier chieda scusa


Berlusconi chieda scusa a Saviano che rischia la vita per le sue denunce. E chieda scusa anche a tutti quegli operatori di giustizia che, nonostante le minacce in stile mafioso fatte dal Presidente del Consiglio, hanno ancora oggi il coraggio di tenere alto il senso dello Stato e delle istituzioni.

Tra l’altro è singolare che Berlusconi parli di successi del Governo nella lotta alla criminalità nel giorno in cui è stata chiesta la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa per il suo luogotenente Marcello Dell’Utri.

Infatti, se fosse stato realmente interessato alla lotta alla mafia, non lo avrebbe candidato per assicurargli l’impunità. Così come non avrebbe dovuto impedire l’arresto del suo sottosegretario Nicola Cosentino. Berlusconi, quando parla di lotta alla criminalità, farebbe bene a guardarsi allo specchio e darsi una ripulita.

Fonte: Antonio di Pietro facebook fanpage

lunedì 12 aprile 2010

Sindaco della Lega viene cacciato da Facebook per razzismo


E' facile ingannare i propri elettori o farsi grande con incitamenti alla violenza contro i più deboli; ma quando si entra in Internet e si ha a che fare con la realtà italiana, le cose cambiano, e tanto. Se ne è accorto Oscar Lancini, Sindaco di Andro, comune in provincia di Brescia, salito di recente alla ribalta delle cronache per aver deciso di privare del pasto i bambini della scuola elementare cittadina perchè i genitori non pagavano.

Aveva creato (o chi per lui l'aveva creata) una pagina fan su facebook, dove aveva scritto, tra le varie cose: "Interessi personali: caccia all'extracomunitario". Le tante segnalazioni ricevute (ci sono dei pre-allarmi, che il sistema automatico del social network dà, prima del ban) l'avevano spinto ad una modifica, scrivendo "Ovviamente gli interessi personali non sono la caccia agli extracomunitari (come scherzosamente era stato scritto e come molti, errando, pensano sia realtà, senza però valutare le iniziative che la Lega Nord ad Adro ha attuato e sta attuando a favore sia di italiani che di extracomunitari senza discriminazione)". Ma non è bastato ad evitare il ban. Anche perchè non è vera quest'ultima affermazione.

Infatti Lancini è noto anche per avere proposto le taglie di 500 euro ai Vigili Urbani per ciascun extracomunitario illegale arrestato. Se non è razzismo questo..

Fonte: L'Altra Notizia

sabato 10 aprile 2010

Belpietro condannato per aver diffamato Caselli



Non ci fu alcuna ‘guerra' dei pm di Palermo contro i carabinieri sul covo di Totò Riina. Lo afferma la Cassazione confermando la condanna per diffamazione inflitta dalla Corte d'appello di Milano all'allora direttore de «Il Giornale», Maurizio Belpietro, per la pubblicazione, nel novembre 2004, di un articolo firmato da Raffaele Iannuzzi dal titolo «Mafia, 13 anni di scontri tra pm e carabinieri», ritenuto diffamatorio nei confronti dei magistrati Giancarlo Caselli e Guido Lo Forte.

Il direttore de «Il Giornale» era stato condannato a quattro mesi di reclusione (pena sospesa) e a pagare, a titolo di riparazione, cinquemila euro ai querelanti, in solido con la società europea Edizioni Spa e al risarcimento dei danni, liquidati in cinquantamila euro, a favore delle parti. Iannuzzi, invece, non aveva subito alcun processo, perché parlamentare, sulla base della garanzie fornita dall'articolo 68 della Costituzione.

La Cassazione (Quinta sezione penale, sentenza n.13198), ha condiviso la valutazione della Corte d'appello, sottolineando che i magistrati «esercitavano una funzione istituzionale», per cui attribuirgli un disegno articolato di guerra contro l'Arma dei carabinieri ha «un disvalore complessivo» che si riflette sulla qualità delle persone in rapporto al compito loro affidato dalla legge. Nel caso di specie, inoltre, il fatto che l'autore dell'articolo fosse un parlamentare, cioè portatore di opinione politica che avrebbe potuto essere esentata da responsabilità, ma già sottoposto a processo per fatto analogo commesso quando era ancora privo della qualità - sottolineano i giudici - avrebbe dovuto allarmare il direttore responsabile quali che fossero le sue idee personali.

Fonte: Il sole 24 ore

giovedì 8 aprile 2010

CATTIVI MAESTRI.


Come mai il mondo dei piccoli imprenditori, dei lavoratori autonomi e degli artigiani che, secondo le indagini del Corriere della Sera doveva essere sul piede di guerra, ha tributato un plebiscito alla Lega? Un partito che ha sostenuto un governo imbelle di fronte alla crisi più pesante del dopoguerra, che ha assistito alla distruzione di più di 300.000 lavori autonomi, a un incremento del 16 per cento del numero di fallimenti di piccole imprese.
Un partito che ha lasciato aumentare ulteriormente la pressione fiscale. Come ha fatto allora la Lega a ottenere percentuali bulgare nel Trevigiano e nel Vicentino? Ci sono almeno tre spiegazioni.

Prima spiegazione: leggo in molti commenti sul dopo voto che d´ora in poi la Lega sarà determinante nell´azione di Governo, ma la verità e che ha già pesato tantissimo sulla politica economica dell´esecutivo. Ha già strappato molte concessioni per i gruppi da lei rappresentati. La Cassa Integrazione in deroga, pagata da tutti i contribuenti e non dalle imprese ed erogata con discrezionalità quasi totale della politica, è, dopotutto, un´invenzione della Lega. Ha dato più risorse al tessile della bergamasca che a molte altre aziende che avevano altrettanto bisogno di aiuto (e un futuro meno improbabile) in altre parti del paese. Nelle province dove la Lega governava, vi è stato un ricorso massiccio a questo strumento: Brescia, ad esempio, ha raccolto il 20 per cento dei fondi stanziati in Lombardia quando il suo peso sull´occupazione della Regione supera di poco il 10 per cento. Ma ci sono tanti altri trasferimenti occulti, di cui non si ha traccia. Il fatto è che il Governo ha aperto in questa legislatura tanti piccoli rubinetti discrezionali, tutti di piccola entità, ma in gran parte gestiti direttamente dai politici locali che hanno potuto così farsi belli di fronte agli elettori. È stato fatto tutto fuori dalla Finanziaria. Nel 2009 ben cinque decreti, che hanno mobilitato risorse per 16 miliardi, un punto di pil. Non facendo parte della legge di bilancio, non potevano alterare i saldi, cambiavano solo la composizione della spesa o delle entrate. Ma sono serviti eccome per farsi riconoscere da chi beneficiava di un sussidio, anche se magari ciò che gli veniva dato con una mano veniva poi tolto con l´altra.

La seconda spiegazione è che la pressione fiscale è aumentata in modo tutt´altro che uniforme e permettendo a molte piccole imprese di mettersi al riparo da futuri accertamenti del fisco. Si è proceduto allo smantellamento di strumenti di prevenzione della micro-evasione (ad esempio l´obbligo di allegare alla dichiarazione Iva gli elenchi clienti/fornitori), sono state abolite le limitazioni nell´uso di contanti e di assegni; la tracciabilità dei pagamenti e la tenuta da parte dei professionisti di conti correnti dedicati. Operazioni tutte molto popolari. Alle piccole imprese dei "distretti industriali" (ovviamente definiti dalla politica) è stata anche offerta la possibilità di concordare, in anticipo, per tre anni, le imposte dovute, anche per i tributi locali, specificando che «in caso di osservanza del concordato i controlli sono eseguiti unicamente a scopo di monitoraggio». E poi c´è stato lo scudo fiscale il cui dato più eloquente è l´altissimo numero di aderenti (più di 200.000) per importi relativamente limitati (attorno ai 450.000 euro a testa). Insomma, tanti piccoli scudi.

La terza spiegazione è che paradossalmente le prime elezioni con campagna elettorale sul web hanno mostrato come non si possa competere in politica facendo a meno di un partito. L´astensionismo ha esaltato l´unico partito oggi esistente al Nord. A trionfare non è stato l´amore, ma il partito che ha portato i propri militanti a votare. Un partito sempre più di potere al Nordest e Nordovest e ancora di lotta in Emilia, nella bassa Padania e in Toscana dove non a caso è più forte dove sono più numerose le comunità di immigrati cinesi. Nei suoi territori storici la Lega occupa e gestisce, con metodo e continuità. Ci vuole un partito per farlo, per selezionare e formare una classe dirigente locale e per far sì che questa presìdi e allarghi il suo raggio di influenza cooptando persone che obbediscono allo stesso capo. La Lega sceglie i suoi esponenti nei borghi, richiede l´identificazione in una comunità locale e l´accettazione da parte di questa per essere riconosciuto come militante. Poi per diventare amministratori locali e fare carriera bisogna fare la gavetta e offrire prove di fedeltà. Non contano invece le apparenze, neanche quelle televisive. La Lega in tutti questi anni è il partito che ha portato più giovani in Parlamento e nei consigli comunali e regionali. Si dice che i giovani trovino più spazio nella Lega perché danno meno problemi, rispettano le gerarchie. In effetti, gli eletti della Lega (sia in Parlamento che nelle amministrazioni locali) sono poco istruiti, difficilmente riescono ad imporre il loro punto di vista. Ma gli elettori della Lega non guardano tanto alle qualità dei singoli. Conta che rappresentino il loro territorio. Vale la targa più che il curriculum.

È una forma partito difficilmente esportabile. Perché richiede un capo carismatico. E perché è da piccolo centro, dove è possibile avere un rapporto diretto con l´elettorato e non c´è bisogno dei media per raccogliere consensi. Al posto dei grandi potentati locali degli altri partiti, ci sono tanti "piccoli politici" di borgo con scarso potere contrattuale nel partito, per lo più sconosciuti al grande pubblico, che hanno il pregio di stare in mezzo alla gente, come dovrebbero fare tutti i bravi sindaci. Nel voto dello scorso fine settimana questi borghi hanno come cinto d´assedio i capoluoghi di regione. Una volta si diceva che solo un torinese avrebbe potuto governare il Piemonte. Da lunedì sappiamo che non è più così. E chissà se avremo presto anche un varesino alla guida di Milano.

Ora che governa in prima persona un sesto del Paese, la Lega dovrà per forza di cose cambiare il suo rapporto con l´elettorato. Dovrà anche trovare una sintesi fra particolarismi di cui sin qui non è stata capace (basti pensare a come non ha saputo gestire il dualismo fra Malpensa e Linate). E soprattutto non avrà più scuse per rimandare il federalismo, quello vero, non quello dei borghi medioevali che cingono d´assedio le grandi città, ma quello che si gioca sull´asse Nord-Sud e che è da sempre nei proclami della Lega. È una prova difficile perché la Lega sin qui non ha saputo governare in grande. Proprio per questo, chi oggi intende contrastare il dominio della Lega dovrebbe compiere il passo opposto, organizzarsi per operare come partito anche sulla piccola scala, lontano dai riflettori, dimostrando come sia possibile affrontare le crisi locali senza le deroghe e le eccezioni. La prima sfida sarà proprio quella dell´uscita dalla Cassa Integrazione in deroga.

di Tito Boeri, la Repubblica, 4 aprile 2010

mercoledì 7 aprile 2010

E POI DICONO CHE UNO SI BUTTA A SINISTRA ...



AL MONDO CI SONO DEI BEI VOLPINI. DELLA SERIE PREDICARE BENE E RAZZOLARE MALE. PARAFRASANDO IL GRANDE TOTO' DICIAMO..."E IO PAGO!"

Almeno 35 milioni di euro. Sono i soldi pubblici, secondo i dati pubblicati dal governo, che il quotidiano Libero ha ricevuto dal 2003 a oggi. Una media di sei milioni di euro all’anno. Tradotto, mezzo milione di euro al mese. Un’entrata niente male: ora si capisce perché da quando è nato, nel 2000, il giornale fondato da Vittorio Feltri ha fatto di tutto per rincorrere la legge. Prima organo di partito, poi cooperativa di giornalisti, in fine diretta emanazione della Fondazione San Raffaele, che ne controlla il 100 per cento delle azioni. A ogni cambio, un aumento dell’incasso.

Ha cominciato come organo del Movimento Monarchico Italiano. Come? Ce lo spiegano proprio i monarchici: "L’accesso ai finanziamenti statali era prerogativa del Periodico Opinioni Nuove – spiega il segretario nazionale dell’Mmi, Alberto Claut – che inizialmente percepiva l’equivalente di 8.000 euro in quanto periodico d’informazione del Movimento Monarchico Italiano rappresentato in Parlamento da senatori e deputati con apposita dichiarazione scritta”". Proprietario della testata Opinioni Nuove, la stessa con cui oggi è registrato Libero, era il Centro Studi Sociali A. Cavalletto Soc. Coop. a r.l,: una cooperativa di Padova che nel 2002 prima affittò la testata, e poi la vendette. Primo acquirente fu Stefano Patacconi, imprenditore morto suicida nel 2001. È allora che arrivano gli Angelucci, imprenditori della sanità con il pallino dell’editoria. I monarchici, con i proventi della compravendita decisero di pubblicare un nuovo periodico, Opinioni Nuove Notizie che non riceve alcun finanziamento. "Controlli pure, abbiamo fatto delle inserzioni pubblicitarie su Libero il 4 novembre e il 17 marzo scorso, e le abbiamo pagate normalmente. Sarei molto felice di dire che la Repubblica italiana sta finanziando i monarchici – dice il segretario dell’Mmi, Alberto Claut – ma non è così. Peccato, non posso dirlo".

La Repubblica, in compenso, finanzia – e bene – la creatura di Feltri ora affidata a Maurizio Belpietro. A Libero capiscono subito che uno dei modi per intascare più soldi è aumentare la tiratura, anche a costo di regalare il giornale. Il contributo all’editoria, infatti, si basa sui costi sostenuti dall’impresa e sul numero di copie stampate. Come documentato da Report nel 2006, Libero usa abbandonare vicino alle fermate della metropolitana copie e copie del giornale, che i cittadini possono gratuitamente portarsi a casa.

Sono lontani i tempi degli otto mila euro all’anno che i monarchici ricordano, nel 2003, Libero – in qualità di ex organo di movimento politico e ora considerato "cooperativa speciale" – riceve dallo Stato 5.371.151,76 euro. Alla Cel (Cooperativa editoriale Libero) va di lusso anche l’anno dopo: non ha più i benefici da ex organo politico, ma può godere dei contributi concessi alle cooperative editrici nate prima del 30 novembre 2001. Guarda caso lo è, e nel 2004 becca 5.990.900,01 euro. Lo stesso anno prende 463.742,64 come credito di imposta sulle spese sostenute per l'acquisto della carta utilizzata. Non va peggio l’anno dopo, anzi. Per la carta prende 558.106,53 e il contributo diretto continua a salire toccando quota 6.417.244,86. é qui che arriva l’ennesimo salto di qualità: dal 2005 Libero riceve contributi pubblici perché edito da un’impresa editrice la cui maggioranza del capitale è detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali. Per questo nel 2006 porta a casa 7.953.436,26 euro e nel 2007 altri 7.794.367,53.

Nel frattempo da cooperativa si è trasformata in una srl, la Editoriale Libero. Ma tranquilli, c’è ancora un modo per continuare a ricevere soldi. Basta mettere come socio di maggioranza la Fondazione San Raffaele, presidio ospedaliero di Ceglie Messapica, provincia di Brindisi. Per capire quanto pesano i contributi statali sul bilancio di Libero basti un dato: il costo del personale nel 2008 è stato di 7,5 milioni, circa 300 mila euro in meno del contributo. In pratica tutti i 98 dipendenti (compresi 83 giornalisti) sono stati pagati con i soldi di quello stesso Stato che ogni giorno viene attaccato per i suoi sprechi dal giornale di Maurizio Belpietro.

Fonte: il Fatto Quotidiano del 7 aprile

martedì 6 aprile 2010

L'INCIUCIO CHE VOGLIAMO...

Qualche mese fa, intervistato da Franco Marcoaldi su Repubblica, il grande intellettuale mitteleuropeo George Steiner denunciava: “Abbiamo perso l’arte di dire ‘no’. No alla brutalità della politica, no alla follia delle ingiustizie economiche che ci circondano, no all’invasione della burocrazia nella nostra vita. No all’idea che si possano accettare come normali le guerre, la fame, la schiavitù infantile.

C’è un bisogno enorme di tornare a pronunciare quella parola. E invece ne siamo incapaci. Sono sgomento di fronte all’acquiescenza di tante persone per bene, trasformate in campioni di fatalismo, quasi che protestare fosse diventato inutile e imbarazzante. Ma le personalità più grandi del nostro tempo, i Nelson Mandela, i Vaclav Havel, non hanno mai provato questo imbarazzo. Purtroppo la famiglia, la scuola e il sistema mediatico inoculano sistematicamente tale virus.

Ci predispongono al più totale conformismo. E’ fondamentale riabituarsi alla resistenza contro i falsi idoli del nostro tempo. A partire da quello principale: il fascismo del denaro… Il potere politico è nelle sue mani. Voi in Italia ne sapete qualcosa…”. Ecco:il fascismo del denaro che ci comanda da almeno 16 anni ha convinto l’opposizione che dire no è disdicevole, disfattista, passatista, e peggio ancora è dirlo in piazza. E’ cosa buona e giusta invece dire sì, mettersi d’accordo, sedersi attorno a un tavolo per scrivere “riforme condivise”. Quali, è secondario. L’importante è sedersi al tavolo, anzi a tavola. Infatti, dopo qualche settimana di polemiche di maniera fra maggioranza e opposizione, strumentali a trascinare ancora qualche elettore alle urne, si ricomincia.

Cicchitto chiama a raccolta Pdl, Lega, Udc e Pd per riformare (cioè devastare) la Costituzione, e lo sventurato, cioè il Pd, risponde. Lo fa per bocca di tale Giorgio Merlo, tutto giulivo per la profferta di uno strapuntino al famoso “t avolo” gentilmente offerto al suo partito. Purchè – precisa – il Pd possa “emendare” la proposta della maggioranza.

A questo si è ridotta la cosiddetta opposizione: a emendare le porcherie di questa losca destra. Dire no è fuori discussione: “Sarebbe irresponsabile – spiega il Merlo - offrire giustificazioni a chi vuole bloccare tutto, gridare al 'golpe' e alla 'dittatura'. Il Pd, com'è noto, non appartiene a e questa canea”. E bravo Merlo. Conosciamo l’obiezione dei presunti “riformisti”: le regole del gioco si scrivono insieme,altrimenti la maggioranza ha l’alibi per fare da sola.

E proprio qui sta il punto: senza i voti del Pd, il Pdl non può cambiare la Costituzione senza passare per il referendum popolare (senza quorum). Dunque, una volta tanto, il Pd ha diritto di veto.

Perché allora non prendere l’iniziativa e, dicendo no a boiate tipo il presidenzialismo e la controriforma della giustizia, sfidare Pdl e Lega a dire sì a una seria legge anticorruzione? Sulla carta, un mese fa, erano tutti d’accordo, poi non se ne seppe più nulla. Ora Berlusconi, per motivi autobiografici, non potrà che dire no, ma leghisti e finiani dovrebbero dire sì. Così Pd e Idv insieme potrebbero regalare al Paese una riforma davvero necessaria e, al contempo, spaccare il centrodestra.


Basta copiare il “patto anticorruzione” appena siglato a Madrid dal governo Zapatero
e dall’opposizione di centrodestra dopo l'ultima ondata di scandali. Anzichè attaccare i giudici e abolire le intercettazioni, in Spagna se la prendono col sistema del malaffare e corrono ai ripari con misure concrete: sostituzione dei politici con tecnici nelle commissioni urbanistiche, divieto assoluto di accettare regali, pubblicazione delle retribuzioni e delle proprietà di assessori e pubblici funzionari, sospensione da ogni incarico dei dirigenti finiti in carcere per tangenti.

In Italia c’è da fare ben di più, visto che negli ultimi 15 anni la classe politica ha smantellato ogni difesa immunitaria contro Tangentopoli. Nei prossimi giorni Il Fatto proverà a suggerire qualche mossa semplice e concreta. Semprechè, s’intende, Pd e Idv siano interessati all’articolo.

Marco Travaglio

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 06 aprile.

domenica 4 aprile 2010

Gli Usa contro Belpietro: "Ha pubblicato interviste false contro Obama"


Bufera su "Libero" che pubblica due interviste ritenute false del collaboratore Tommaso DeBenedetti-una allo scrittore Philip Roth e l'altra al mostro sacro del legal trhiller, John Grisham- contro Barack Obama.

La denuncia è del New Yorker: “Il mese scorso Roth è stato intervistato da Paola Zanuttini, per il quotidiano La Repubblica. Alla fine dell’intervista la giornalista ha chiesto allo scrittore come mai avesse usato parole così dure nei confronti del presidente Barack Obama. ‘Non ho mai detto nulla del genere’, ha risposto Roth. ‘È proprio il contrario di quello che penso. Credo che Obama sia fantastico’”.

“La notizia della falsa intervista si è immediatamente diffusa tra i blogger italiani. Il direttore di Libero ha espresso il suo imbarazzo e ha cancellato l’intervista dal web. Debenedetti ha spento il suo telefono cellulare e non si è fatto più vedere. Ma Roth era curioso di capire chi fosse. Così ha fatto delle ricerche e ha scoperto che Debenedetti aveva inventato una falsa intervista anche con John Grisham, che era stata pubblicata da tre quotidiani nazionali. Anche in quell’intervista Debenedetti attribuiva all’intervistato delle dichiarazioni contro Obama: ‘La gente è arrabiata con lui per non aver fatto niente di quello che aveva promesso’”

“La migliore spiegazione che posso trovare”, ha detto Roth, “è che questo misterioso freelance avesse in mente di trovare un modo per vendere articoli ai giornali attribuendo a scrittori americani famosi sentimenti antiobamiani. Ma non ho idea di cosa farà ora. Di sicuro la sua carriera è finita”. Roth ricorrerà alle vie legali contro Debenedetti.

Fonte: precariosan.com

venerdì 2 aprile 2010

Giustizia, la road map del premier "In un mese stop alle intercettazioni"


ROMA - Il primissimo segnale vuole darlo con le intercettazioni, "una riforma che la nostra gente condivide e che aspetta ormai da troppo tempo". Berlusconi vorrebbe un testo ancora più duro di quello in attesa del sì definitivo al Senato, ma è disposto ad "accontentarsi", a patto però che per la prima settimana di maggio diventi legge una volta per tutte.

Di ammorbidirlo, come pure ha consigliato il Quirinale sin dal luglio 2009, neanche a parlarne. In contemporanea, in consiglio dei ministri, il Guardasigilli Angelino Alfano dovrà presentare la tanto annunciata riforma della giustizia, con le carriere separate dei pm e dei giudici, lo splittamento conseguente del Csm, un'alta corte che sostituisca l'attuale sezione disciplinare interna per "processare" i magistrati. Il Cavaliere, su questa road map, non ammette né deroghe, né distinguo. Soprattutto sulle intercettazioni. "In ogni piazza in cui sono andato, in ogni comizio che ho fatto, la gente mi ha applaudito quando ho detto che la pubblicazione delle telefonate sui giornali è uno scandalo che deve finire. A loro ho promesso la nuova legge che impedirà tutto questo, adesso voglio mantenere il mio impegno e la maggioranza deve essere con me".

Decisionista come non mai, a palazzo Grazioli il premier dà i compiti di Pasqua al ministro della Giustizia e al suo avvocato e consigliere giuridico Niccolò Ghedini, che partecipano al vertice sulle riforme. Che, in tempi strettissimi, dovranno chiudere la riforma della giustizia. Alfano ci lavora da quando si è insediato a via Arenula. Di bozze ne esiste più d'una. Ora è tempo di stringere, dice Berlusconi, è approdare a palazzo Chigi. La materia è complessa, visto che l'obiettivo è quello di riformare tutto il titolo quarto della Costituzione che, dall'articolo 101 al 113, regola l'assetto della magistratura.

Il Guardasigilli non comincerà già oggi, durante il consiglio dei ministri, a esporre le sue linee d'azione, e forse neppure nel successivo appuntamento dopo Pasqua. Se ne parlerà più avanti, ma ormai è certo che, dopo tante minacce contro i giudici, stavolta se ne parlerà tra qualche settimana. È ancora un interrogativo invece l'ipotesi di cambiare in corsa la legge elettorale del Csm, prorogando fino a novembre l'attuale Consiglio. Il progetto piace ad Alfano, che ha più volte messo in mora il Csm in vigore e gli imputa di ritardare il trasferimento d'ufficio dei pm nelle sedi disagiate. Un prolungamento dell'incarico potrebbe realizzare due obiettivi: obbligare il Csm a spostare i magistrati e cambiare il sistema d'elezione scompaginando gli equilibri tra le correnti che ormai hanno già scelto i candidati per il voto di luglio. Un gesto d'imperio dunque, tanto per far capire chi comanda.

Ma prima di tutto questo c'è il nodo delle intercettazioni. Di questo si preoccupa Berlusconi perché quello che considera lo "strapotere" dei magistrati nel disporle, nel tenerle in piedi per anni, nel renderle pubbliche attraverso i provvedimenti, lo irrita profondamente. Per questo il ddl dovrà avere una corsia preferenziale. E il premier vuole anche evitare, com'è avvenuto durante la discussione alla Camera, qualsiasi contrasto con Fini. Ha apprezzato una sua frase, "il testo attuale è un buon compromesso", che ha letto sui giornali. Su quel testo si andrà avanti. E le gerarchie del partito, convocate per la prossima settimana, potrebbero votare anche per il definitivo via libera. Un modo per "legare le mani" a Fini. Per evitare "quei distinguo e sofismi di sorta, quei birignao", di cui parla il vice capogruppo dei deputati Pdl Osvaldo Napoli che, con una chiara allusione a Fini, sottoscrive la decisione di convocare tutti gli organi di partito per andare avanti sulle riforme.

Fonte: Repubblica.it

giovedì 1 aprile 2010

Il PD cosa farà da grande?


Pubblichiamo un interessante analisi fatta da Marco Travaglio.

"Mentre il Pdl di Menomalechesilvioc’è perde 8,5 punti in un anno e tocca il minimo storico, la Lega lo asfalta al nord e Fini può rivendicare i successi in Lazio e Calabria con i suoi Polverini e Scopelliti, soltanto il vertice del Pd poteva trasformare la débâcle berlusconiana in una Caporetto del centrosinistra (fra l’altro, scambiata per una vittoria).

Bersani, cioè D’Alema e i suoi boys (almeno quelli rimasti a piede libero), ce l’han messa tutta per perdere le elezioni più facili degli ultimi anni e, alla fine, possono dirsi soddisfatti. In Piemonte hanno candidato una signora arrogante e altezzosa, bypassando le primarie previste dallo statuto del Pd per evitare di dar lustro al più popolare Chiamparino e riuscendo nell’impresa di consegnare il Piemonte a tale Cota da Novara per solennizzare degnamente il 150° dell’Unità d’Italia.

A Roma, la città del Papa, hanno subìto la candidatura dell’antipapista Bonino per mancanza di meglio (il meglio ce l’avevano, Zingaretti, ma l’hanno nascosto alla Provincia per evitare che, alla tenera età di 45 anni, prendesse troppo piede), poi l’han pure lasciata sola per tutta la campagna elettorale.

In Campania, calpestando un’altra volta lo statuto, hanno sciorinato un signore che ha più processi che capelli in testa perché comunque era “un candidato forte”: infatti. In Calabria han ricicciato un giovin virgulto come Agazio Loiero, che quando ha perso come tutti prevedevano si è pure detto incredulo, quando gli sarebbe bastato guardarsi allo specchio. Non contenti, questi professionisti del fiasco, questi perditori da Oscar le hanno provate tutte per fumarsi anche la Puglia, candidando un certo Boccia che perderebbe anche contro un paracarro, ma alla fine hanno dovuto arrendersi agli elettori inferociti e concedere le primarie, vinte immancabilmente dal candidato sbagliato, cioè giusto.

Hanno inseguito il mitico “centro ” dell’Udc, praticamente un centrino da tavola all’uncinetto, perché “guai a perdere il voto moderato”. Infatti gli elettori sono corsi a votare quanto di meno moderato si possa immaginare: oltre a Vendola, i tre partiti che parlano chiaro e si fanno capire, cioè Lega, Cinque Stelle e Di Pietro. Altri, quasi uno su due, sono rimasti a casa o han votato bianco/nullo, curiosamente poco arrapati dai pigolii del “maggior partito dell’opposizione” e dal suo leader, quello che “vado al Festival di Sanremo per stare con la gente” e “in altre parole, un’altra Italia”. Se, col peggiore governo della storia dell’umanità, l’astensionismo penalizza più l’opposizione che la maggioranza, un motivo ci dovrà pur essere.

L’aveva già individuato Nanni Moretti nel lontano febbraio 2002, quando in piazza Navona urlò davanti al Politburo centrosinistro “con questi dirigenti non vinceremo mai”. Sono gli stessi che sfilano in tutti i salotti televisivi, spiegando che la Lega vince perché “radicata nel territorio” (lo dicono dal 1988, mentre si radicano nelle terrazze romane o si occupano di casi urgentissimi come la morte di Pasolini) e alzando il ditino contro Grillo, che “ci ha fatto perdere” e “non l’avevamo calcolato”. Sono tre anni che Beppe riempie le piazze e li sfida su rifiuti zero, differenziata, no agli inceneritori e ai Tav mortiferi, energie rinnovabili, rete, acqua pubblica, liste pulite, e loro lo trattano da fascista qualunquista giustizialista. Bastava annettersi qualcuna delle sua battaglie, sganciandosi dal partito Calce & Martello e dando un’occhiata a Obama, e lui nemmeno avrebbe presentato le liste.

Bastava candidare gente seria e normale, fuori dal solito lombrosario, come a Venezia dove il professor Orsoni è riuscito addirittura a rimpicciolire Brunetta. Ma quelli niente, encefalogramma piatto. Come dice Carlo Cipolla, diversamente dal mascalzone che danneggia gli altri per favorire se stesso, lo stupido danneggia sia gli altri sia se stesso. Ecco, ci siamo capiti.

Ce n’è abbastanza per accompagnarli, con le buone o con le cattive, alle loro case (di riposo). Escano con le mani alzate e si arrendano. I loro elettori, ormai eroici ai limiti del martirio, gliene saranno eternamente grati."

Fonte: Fatto Quotidiano del 31 marzo, in edicola
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