Benvenuti nel blog di IdV Gualtieri

Lo scopo di questo blog è di dare la possibilità, a chi non ci conosce personalmente, di segnalarci situazioni particolari sul territorio ed eventualmente suggerirci migliorie da realizzare. Inoltre vorremmo trattare avvenimenti politici a carattere nazionale ed internazionale, condividendoli con tutti coloro che lo vorranno.

giovedì 30 luglio 2009


Augurandovi buone vacanze vi propongo un post di Antonio Di Pietro.

Il Partito del Sud non s'ha da fare

Il partito di Forza Italia e' nato su commissione di Cosa Nostra, e' scritto nella sentenza di condanna a nove anni di Marcello Dell'Utri, e la riprova inequivocabile di cio' furono quei 61 seggi su 61 assegnati dall’isola al partito di Arcore alle politiche del 2001.
Oggi senza i voti della circoscrizione Sud, e della Sicilia in particolare, il Pdl non sarebbe mai andato al governo per ben quattro volte e l’Udc di Totò Cuffaro avrebbe gli iscritti di un circolo Acli.

La minaccia del Partito del Sud è un chiaro monito rivolto a Silvio Berlusconi che non sta facendo, evidentemente, quanto promesso in quell’antico patto di cui Marcello Dell’Utri è stato garante per quasi un ventennio.

Il Partito del Sud è il segnale che gli accordi politici alla base di Forza Italia in Sicilia sono in discussione. A questo segnale se ne aggiungono altri che potrebbero comunque far parte dello stesso puzzle: la monnezza di Palermo, l’agitazione della Giunta, Lombardo, i messaggi di Riina su mandanti di Stato per le stragi di Capaci e via D’Amelio, le dichiarazioni di Ciancimino jr, la recente condanna a 10 anni e 8 mesi per associazione mafiosa di Mercadante, ex deputato di FI, definito dal pentito Giuffrè “la creatura di Provenzano”.

I messaggi lanciati in questi mesi dall’isola parlano chiaro: i 140 milioni di euro a Scapagnini per il fallimento del comune di Catania e gli 80 milioni all’amico Cammarata per scongiurare quello di Palermo non bastano più. E così il Premier promette nuovi soldi alla Sicilia e lo fa ancor prima di spiegare come verranno utilizzati e con quali coperture finanziarie. Evidentemente l’importante è porre l’accento sulla cifra, prima che sulla destinazione e sulla reale disponibilità. Evidentemente le persone a cui è rivolto il messaggio ne conoscono la destinazione.

Venerdì al Cipe saranno sbloccati quattro miliardi per la Sicilia. Lo hanno deciso a palazzo Grazioli durante uno dei tanti vertici privati in cui si dispone di soldi pubblici.
I commensali del vertice erano: il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, per cui la Giunta della Camera martedì ha negato l’autorizzazione a procedere per l’accusa di favoreggiamento; il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, che istituì nel 2002 il volo Alitalia Albenga-Fiumicino per arrivare prima da casa al Parlamento; Raffaele Fitto ministro per i Rapporti con le Regioni, indagato dalla Procura di Bari per corruzione, falso e illecito finanziamento ai partiti; il fido ministro della Giustizia Angelino Alfano, quello del Lodo e del bavaglio alle intercettazioni, per intenderci; e, “dulcis in fundo”, il deus ex-machina, ringalluzzito da questa nuova aureola con cui ha deciso di reinventarsi a metà tra una rockstar e un attore di B-Movie: Silvio Berlusconi che non necessita di presentazioni poiché è ben noto alle procure di mezza Italia. Ecco, ad una compagine del genere non affiderei neanche il budget per un buffet matrimoniale, figuriamoci quattro miliardi per la Sicilia.

“Per il meridione d’Italia non si è fatto mai abbastanza”: in termini di lotta alla criminalità è vero, ma in quanto a soldi nel meridione d’Italia si sono spesi interi Pil nazionali senza risultati apprezzabili: perché? Nelle mani di chi finiscono questi immensi finanziamenti? E come vengono gestiti? La risposta la sappiamo, basti pensare alle indagini Why Not e Poseidon dell’ex pm Luigi de Magistris, e a centinaia di altre simili, che questo sistema politico non poteva permettersi ed ha ostacolato con ogni sua energia.

La verità è che i soldi in questi decenni non sono stati destinati ai cittadini, né ad opere utili allo sviluppo reale del meridione, né all’imprenditoria giovanile.

Il Sud ha bisogno di investimenti, esteri e nazionali, ma prima bisogna riportarvi la cultura dello Stato, anzi lo Stato, di cui Falcone e Borsellino si erano fatti interpreti. Senza lo Stato e le sue garanzie, i capitali esteri, che spesso costituiscono la risorsa principale per lo sviluppo di importanti aree turistiche, non confluiranno mai nel meridione e quelli statali finiranno sempre nelle mani sbagliate.

lunedì 27 luglio 2009

Vi segnalo un articolo pubblicato dall'Espresso, riguardante la crisi economica che stà investendo anche l'Emilia, e Gualtieri in particolare.

C'era una volta la via Emilia
di Tommaso Cerno

Da sette mesi tira a campare con la cassa integrazione, e non sa se ritroverà il suo posto alla Dugomrulli di Bologna. Le commesse sono crollate, i fornitori premono. Intanto Massimo Dondi non ha i soldi per pagarsi la rata del mutuo, coi 700 euro scarsi che gli passa l'Inps. Così, a 39 anni ha rinunciato a mettere su famiglia e vive coi suoi: "Sarò un bamboccione, ma là fuori c'è tanta gente che, se io la vedo grigia, loro la vedono nera".

Là fuori c'è la via Emilia, irriconoscibile nella crisi globale che l'ha messa in ginocchio come se fosse passato un uragano. Era uno dei simboli dell'Italia produttiva, e non di quella del 'mordi e fuggi'. Marchi storici del made in Italy, welfare solido, un imponente sistema cooperativo, quasi 2 milioni di occupati (con un incremento storico dell'1 per cento annuo). Nel 2007 segnava il 2,3 per cento di aumento del Pil e una crescita di fatturato del 2,7, quando l'Italia era già ferma.

Nel 2008 il primo segno meno; da gennaio 2009 il crollo: giù del 13,3. E la ceramica del 30. Delle 100 mila industrie attive in Emilia Romagna fra manifatture e costruzioni, 70 mila sorgono proprio lungo i 329 chilometri della strada che da più di 20 secoli collega Rimini con Piacenza, per proseguire poi fino a Milano. E che sta pagando più di tutti la recessione. La Ss 9, come l'ha ribattezzata l'Anas allargando la consolare di Emilio Lepido per dare asfalto ai camion di mezza Europa, si sta svuotando. Uno dei territori più ricchi d'Europa, con 32 mila euro di reddito medio pro capite, fa i conti con l'incremento dei poveri: cento famiglie in più ogni giorno fanno la spesa con gli sconti di solidarietà della Coop Adriatica. E pensare che da quelle parti nascevano più aziende che bambini, con un trend annuo in tempi normali di quasi una partita Iva in più ogni cento registrate. Da gennaio l'inversione: lo 0,8 per cento in meno. Quasi una ditta ogni cento ha già chiuso i battenti.


Un pezzo di Italia produttiva è in pericolo. Come un fiume rimasto senz'acqua, la via Emilia rischia la desertificazione. Fabbriche chiuse, cancelli sbarrati, scioperi di Cgil, Cisl e Uil a ogni chilometro. Molte piccole imprese (qualcuno azzarda una su quattro) potrebbero chiudere per le ferie di agosto e non riaprire nemmeno, strozzate dai debiti verso i fornitori, dagli stipendi da pagare, dai contributi da versare. E senza più le banche disposte a fare credito. L'Abi ha dato la stretta sui prestiti. I rubinetti del contante si chiudono per molti padroncini.

Per avere cento, di questi tempi, devi garantire 150. Senza contare che gli ammortizzatori sociali valgono solo per le grandi industrie. Per piccoli e medi, se non c'è lavoro gli operai vanno a casa.

Da gennaio la cassa integrazione è decuplicata rispetto al 2008 e ha superato i cinque milioni di ore al mese. Più di tutti paga la meccanica, che da sola pesa per il 75 per cento. Milioni di ore, dietro alle quali ci sono migliaia di vite e di sogni diventati incubi. Com'è la storia di Matteo: aveva lasciato Bari due anni fa in cerca di fortuna e si era presentato a Imola, alla Cnh di proprietà della Fiat, con la valigia in mano per firmare quel contratto che sembrava il biglietto vincente della lotteria.

Ma la ruota ha fatto un giro di troppo. Pochi mesi dopo, Sergio Marchionne ha annunciato da Torino il piano del Lingotto: si farà a meno dello stabilimento sulla via Emilia. Cassa ordinaria, poi straordinaria e, infine, tutti a casa entro due anni: 454 operai. "Mi è crollato il mondo addosso. Mi entrano 400 euro al mese, fra poco nemmeno più quelli. Non pago più l'affitto, né le bollette, né le rate dei mobili. Ho le banche che mi inseguono. Mi metterò a rubare".

Di storie così se ne incrociano sempre di più sulla via Emilia, da Cesena a Forlimpopoli, da Faenza a Reggio. L'alimentare, fra Piacenza e Parma, soffre un po' meno: il Parmigiano scende nelle vendite, ma solo del 3 per cento. La meccanica reggiana e quella bolognese, invece, sono nel tunnel. Cassa integrazione anche nelle industrie di eccellenza, come Magneti Marelli e Minarelli. Ancora peggio per le ceramiche di Sassuolo, nel modenese, dove Romano Minozzi, titolare della Iris che ha oltre700 dipendenti, a gennaio, nel bel mezzo della pausa natalizia, ha annunciato la chiusura: "L'abbiamo letto sul giornale e siamo rientrati di corsa", racconta Antonio Santomauro, operaio specializzato che oggi siede in consiglio comunale: "Picchetti e proteste fino a quando l'azienda ci ha messi in cassa integrazione".

Stessa musica all'Emilceramica, alla Nuova Fima, un po' dappertutto. Meglio alla Marazzi, leader italiana con oltre mille dipendenti, anche se fra i sindacalisti da qualche settimana c'è il timore di un centinaio di esuberi. La strada, avverte Filippo Marazzi, è "investire in ricerca, in nuove tecnologie, in produzioni anche vicine ai mercati", aspettandosi però un processo di selezione delle imprese. E proprio su questo i lavoratori chiedono al ministro del WelfareMaurizio Sacconi di intervenire. Da Roma per ora tacciono.

"È una crisi dura, senza precedenti, dai contorni e dai tempi difficili da definire", ammette la presidente di Confindustria Emilia Romagna, Anna Maria Artoni: "Abbiamo chiesto alla Regione interventi straordinari per opere pubbliche e infrastrutture, sostegno a Confidi e accesso al credito, e di velocizzare i pagamenti". E sono arrivati: un miliardo di euro messo a disposizione dalle banche proprio grazie ad accordi fra assessorato, Unioncamere, Confidi e categorie.

Un plafond per anticipare stipendi e pagamenti di forniture. Sì, perché il dramma di molte aziende non sono nemmeno gli ordinativi, che per altri tre o quattro mesi ci sarebbero anche, come nel caso della Grimac, macchine per il caffè, che invece ha dichiarato il fallimento. Sono i soldi liquidi che mancano. Nessuno paga più nessuno. E così si accatastano le merci, che non stanno più nei magazzini. Milioni di metri cubi di invenduto che rischia di restare tale.

Le locande dove con nove euro i camionisti mangiavano i tortelli, adesso licenziano. Il tassista Franco, che ha macinato due milioni di chilometri su quella strada, ha deciso di mollare a fine anno: "Non ci sto dentro". Accusano la crisi addirittura le giovani prostitute, quasi tutte romene o moldave, che dalle sette del mattino affollano Borgo Panigale. Meno Tir, meno giro. "Non hanno soldi", si arrabbia Flavia, la moderna Bocca di rosa fra Sant'Ilario e Modena.

Solo che stavolta al posto del cartello giallo cantato da Fabrizio De Andrè, spuntano giganteschi tabelloni grigi a dire tutti la stessa cosa: 'Vendesi capannone'. Secondo Nomisma, in tutte le province attraversate dalla via Emilia le piccole imprese chiudono. Segno meno nell'industria (dell'1,1per cento), nella moda (del 2,4), fino alla chimica (dell'1,6). L'unico segno più se lo conquista l'intermediazione finanziaria, chi presta i soldi ai nuovi poveri.

Fra operai e impiegati sette famiglie su dieci nel 2009 hanno rinunciato alle ferie lunghe. "Come le paghiamo?", si chiede Gloria, operaia ventinovenne. La sua azienda è una di quelle che hanno chiuso per le vacanze estive e forse non riapriranno più. Sono centinaia. "E il peggio deve ancora venire", avverte Nicola Patelli della Fiom di Bologna: "L'impressione è che a settembre scatterà la mobilità, perché la ristrutturazione dovrà avvenire entro fine anno, così da presentarsi puliti dalle banche". Significa che, crisi dei mercati Usa a parte, la colpa del disastro è un po' anche nostra. Dei limiti di un management che, in parecchi casi, ha gestito male l'emergenza.

Reggono i grandi marchi del made in Italy, come Ducati Motor. Passati quei cancelli, la morsa sembra darti tregua. I bolidi rosso fiammante, dallo Streetfighter al Monster, raccontano che c'è qualcuno che ce la fa. Niente cassa nello stabilimento dei campioni del mondo. Non che la crisi non si senta, ma vuoi il mercato di nicchia, vuoi le vittorie di Casey Stoner, il peggio è passato. Eppure basta percorrere poche centinaia di metri, che la scena cambia di nuovo. Alla Ducati Energia, azienda di famiglia di Federica Guidi, presidente dei giovani di Confindustria, il lavoro è in flessione. "C'è la cassa a rotazione, alcuni di noi sono a casa da aprile", racconta Raffaella Sugheri.

È colpa della crisi, ma anche della forte delocalizzazione verso India, Romania e Croazia. "Da oltre 500 che eravamo, siamo rimasti in 260". Stessa musica per Arcte, del gruppo Burani: prepara 90 esuberi su 180 posti, il 95 per cento donne. E come Arcte, Harris di Rastignano, l'Alpi legno di Modigliana e una miriade di altri marchi riconosciuti. Alla Camst, poi, il più importante gruppo di ristorazione a capitale italiano con 11 mila addetti, i dirigenti si sono tagliati lo stipendio per aiutare i cassaintegrati. "Ci accorgiamo della crisi dal crollo del lavoro nelle mense aziendali, che perdono il 20 per cento", spiega il segretario generale Marco Minella, "c'è miseria vera".

Non è immune nemmeno il colosso Coop Costruzioni, che aveva chiuso il 2008 con 187 milioni di produzione e un utile cresciuto del 67 per cento. "Quest'anno la situazione è drammatica, i lavori sono pochissimi, i bandi pubblici sono scesi di un terzo e le concessioni private del 40 per cento", elenca il presidente Adriano Turrini: "Per ora non abbiamo fatto cassa integrazione, ma non è detto che potrà continuare così". È sul suo storico welfare che ora la via Emilia scommette tutto. "Evitare il più possibile licenziamenti", ripete fino allo sfinimento l'assessore alle Attività produttive Duccio Campagnoli, che da sei mesi passa da una trattativa all'altra: "Abbiamo chiuso 50 accordi, ma non basta. Spingiamo sui contratti di solidarietà, sulle intese con le banche. E tiriamo la cinghia. Gli imprenditori emiliani? Non si scoraggiano".

Basterà? A guardare cosa sta avvenendo a Gualtieri, qualche dubbio viene. La Tecnogas, che compone fornelli e cucine, si trova sul baratro dopo la crisi del gruppo Antonio Merloni di Fabriano, che nel '97 ha rilevato l'azienda emiliana. Per mesi si sono attesi un programma di ristrutturazione e un piano industriale. È arrivata la cassa integrazione, la riduzione degli organici (da 800 a 460) e lo spettro della chiusura.Irina Petrescu è romena, vive in Emilia da 17 anni, e teme che in un colpo solo perderanno il lavoro sia lei sia il marito. "Berlusconi dice di spendere la tredicesima? Beh, qui la tredicesima non esiste più". Gli operai hanno costruito una baracca ai cancelli e ci hanno trascorso l'inverno davanti a una stufa arrangiata. "Qualcuno portava i tortelli, qualcuno il lambrusco", racconta il delegato di fabbrica Nevino Marani. Hanno prodotto addirittura un calendario per raccogliere fondi. Emblematico: i 12 mesi raccontano scioperi, picchetti e assemblee all'aperto.

Non bastasse, ci si mettono le multinazionali. La Nike a Casalecchio di Reno progetta di mandare a casa una quarantina di persone. "Non ne hanno motivo", denuncia Fabio Fois della Cgil, "ma ormai in questo clima tutti cercano di ridurre gli organici". A Forlì, Ferretti riesce invece a galleggiare grazie a una pesante ristrutturazione del debito, tuttavia non a navigare come i suoi yacht milionari. Un gruppo da 2.600 dipendenti che solo lì ne impiega 480. "Sembrava tutto rose e fiori e invece no", lamenta Loris Bacci, 42 anni. Come Loris, migliaia di altri sulla via Emilia della crisi. L'elenco è lungo, come le ore di cassa integrazione. Senza più certezze.

sabato 25 luglio 2009

L'illegalità conviene?

Il video è tratto dal film "Così parlò Bellavista" di Luciano de Crescenzo.
La scena mostra un dialogo tra un elegante mafioso/camorrista ed il professor Bellavista. Alla fine il professore pone un quesito: vivere illegalmente conviene ?
Una seria riflessione è d'obbligo. Non commettete l'errore di pensare che tali situazioni riguardano solo gli abitanti di NAPOLI e del SUD. Riflettete....

venerdì 24 luglio 2009


Oggi vi propongo un interessante indagine effettuata da Marianna Quatraro pubblicata da Business online.

Si risparmia su tutto ma non sui viaggi. Le preferenze degli italiani

Italiani popolo di 'Santi, poeti navigatori e'…amanti delle vacanze. La crisi di fa sentire, i suoi effetti gravano molto sulle condizioni economiche dei cittadini, la tendenza è quella del risparmio sugli acquisti non necessari o superflui (74%, ben tre italiani su quattro) ma non sulle vacanze.

A livello internazionale sono cibo, viaggi e casa le voci meno penalizzate. In Italia, però, vincono la moda, ancora i viaggi e i piccoli lussi, ritenuti la cosa più importante dal 37% degli intervistati (solo il 25% in Germania, 22% in Francia, 20% negli Usa).

Secondo quanto emerge da un'indagine dell'istituto di ricerca Tns commissionata da Ing Direct sul cambiamento nelle abitudini di risparmio e di consumo in seguito alla crisi, in Italia il 42% delle persone mette da parte meno soldi rispetto allo scorso anno, anche se il 29% riesce, invece, a risparmiare addirittura più di prima, ma nessuno rinuncia ad un viaggio.

Ben il 16% degli italiani, infatti, dichiara di risparmiare proprio a questo scopo e di un altro 31% persuaso del fatto che i viaggi siano quasi una missione. Tra le spese che, invece, si possono rimandare nel Belpaese ci sono l'acquisto di un'automobile (37%) e della casa (14%), oltre che i lavori di ristrutturazione dell'abitazione (24%). Se il viaggio è irrinunciabile per gli italiani, intoccabile lo sport, con tutte le relative spese, negli Usa (15%), in Germania (15%) e in Francia (13%).

Autore:

Marianna Quatraro

giovedì 23 luglio 2009

La BUFALA del PIANO CASA

Il piano casa sbandierato da Berlusconi è una clamorosa fregatura. I 100.000 alloggi da costruire in 5 anni sono una chimera perché non ci sono soldi. Il governo Prodi aveva stanziato 550 milioni per l’edilizia popolare, Tremonti li ha fatti sparire per poi annunciare in pompa magna il piano casa con un investimento di 200 milioni. Meno della metà. Complimenti. Vien voglia di segnalarlo a qualche sito ‘antibufale’

Certo è necessario rilanciare l’economia ed anche il settore edilizio. Ma in questo modo, senza vincoli e con la semplificazione delle procedure, otterremo l’effetto contrario. Non ci saranno case per le fasce deboli, ma speculazioni, con la sostanziale ‘abrogazione’ dei piani regolatori assisteremo ad una cementificazione selvaggia che danneggerà un territorio già massacrato dalle speculazioni. L’Istat in un rapporto del 2007 ha stabilito che in quindici anni sono stati erosi 3 milioni e 663 mila ettari. Una superficie pari a quella di Lazio e Abruzzo insieme. Per far lavorare qualche palazzinaro si sacrifica l’ambiente e si deturpano paesaggi e città.

Noi guardiamo al futuro e proponiamo altro: sostegno, aiuti, incentivi e sgravi per chi costruisce secondo i criteri dell’edilizia sostenibile. Costruire nuove case nel rispetto dell’ambiente significa consumare meno risorse, inquinare meno, ed anche creare nuovi posti di lavoro qualificati ed un indotto economico positivo. Facciamo un esempio concreto: in Germania, tra il 2002 ed il 2004, in piena crisi edilizia, sono stati creati 25.000 nuovi posti di lavoro grazie ai lavori di ristrutturazione per aumentare l’efficienza energetica e la resa ambientale degli edifici. Un esempio che questo governo proprio non vuole seguire.


Post di Massimo Donadi - Capogruppo IDV

domenica 19 luglio 2009


Clandestini: i danni che può provocare una cattiva legge.

Concordando con l'amico Massimo Donadi (nella foto), capogruppo del gruppo parlamentare di Italia dei Valori alla Camera, Vi invito a riflettere sui danni che può provocare il disegno di legge, emanato dai nostri attuali governanti, riguardante la sicurezza dei cittadini. I nostri legislatori, sull'argomento sicurezza, hanno il dovere di promulgare delle leggi che salvaguardino i cittadini, onesti e rispettosi delle leggi, senza penalizzarli. Leggi fatte senza una preventiva valutazione a 360 gradi, possono essere molto più dannose di una legge mancante; questo caso è esemplare.
Una Legge scarsa, che non risolve i problemi dei cittadini, fatta da legislatori scarsi che pensano di fare pagare a tutti i cittadini quella che è solo una propaganda, dannosa e dagli sviluppi futuri non quantificabili. Non mi dilungo.
Vi lascio alla riflessione del caso dopo avere letto il post dell'amico Massimo Donadi, che riporto di seguito:

POST di Massimo Donadi
Clandestini: propaganda a carico dei cittadini

Il disegno di legge su cui già sono caduti gli strali del Presidente della Repubblica, più che mirare a salvaguardare la sicurezza dei cittadini, fa pericolosissime chiacchiere.
Il governo, infiocchettandolo con una serie di belle parole ad effetto, ha concepito un provvedimento che di fatto andrà a peggiorare la situazione della clandestinità, gravando, per altro, sulle tasche dei cittadini.
La mia impressione, è, purtroppo, che questo disegno di legge sulla sicurezza sia solo un manifesto ideologico, un provvedimento all’apparenza feroce, privo, in realtà, di alcuna sostanza.Solo nel 2002, dal cilindro magico di un altro governo Berlusconi, è venuta fuori la Bossi-Fini, legge in apparenza spietata contro immigrazione e clandestinità, in sostanza del tutto inefficace ed anzi controproducente. Il risultato è stato un mare di clandestini nel nostro paese, che ha costretto poco dopo, il governo ad emanare una megasanatoria per la regolarizzazione di 650 mila clandestini.
Oggi, a sette anni di distanza, altro giro, altro involucro d’effetto, altre parole di facciata, stessa identica storia: una nuova legge dalla finta faccia crudele, priva di sostanza, una propaganda per appagare la pancia leghista. Un altro buco nell’acqua, che genererà solo danni alla popolazione. Il reato d’immigrazione clandestina ha trasformato milioni di clandestini che vivono in Italia in criminali, ma con impossibilità per lo stato di identificarli e trasferirli. Ve l’immaginate un milione di processi nella nostra Italia dalla giustizia sgangherata?
Il governo ha generato, forse senza valutarne le conseguenze, un mostro. Ora, spinto dal timore di non riuscire a gestirlo, si è visto costretto ad un’ennesima sanatoria, quella che mira, solo a parole, alla regolarizzazione delle badanti, ma che finirà per coinvolgere anche tante finte badanti o veri e propri delinquenti.
La stima del governo è di 200 o 300 mila persone, ma, stando ai dati sulle presenze irregolari, forniti dalle associazioni del settore, i numeri potrebbero almeno raddoppiare. Agli italiani, da tutto ciò, deriverà, oltre all’inganno, anche un profondo danno economico, 500 euro a famiglia, proprio in un momento in cui la crisi dovrebbe portare in tutt’altra direzione.
Saranno i cittadini infatti a dover pagare, se bisognosi del servizio reso dalle badanti, il costo economico del reato d’immigrazione clandestina imposto dal governo.

giovedì 9 luglio 2009

La Scuola Pubblica e le famiglie soffrono

Scuola PubblicaCome dovrebbe essere la Scuola ideale? Questa domanda, rivolta a un soggetto che non vive la realtà scolastica, darà origine a risposte fantasiose, forse interessanti, ma quasi certamente irrealizzabili.

Alla stessa domanda, i soggetti che vivono la Scuola in prima persona, insegnanti e alunni in primis, daranno risposte molto più concrete. Da loro, dai soggetti che vivono la Scuola in modo attivo, la Politica deve attingere per una riforma seria e positiva della Scuola Pubblica. Non può essere la Politica a indicare le linee del cambiamento, o almeno non da sola.

Purtroppo, in questi mesi, la Scuola pubblica sta subendo un feroce attacco, rivoltogli da una parte politica. Dopo gli “scossoni” dati dal Ministro Moratti, e non corretti dal Ministro Fioroni, è arrivato il terremoto prodotto dal Ministro Gelmini, che ha firmato l’attuale riforma (si nutrono molti dubbi che sia anche la vera autrice). Una riforma scolastica seria non può avere come unico obiettivo il taglio di 87.000 posti di lavoro, passando attraverso un illusorio ritorno al maestro unico e la reintroduzione del grembiulino. E’ chiaro che si sta puntando su un richiamo nostalgico, allo scopo di ottenere consensi.

Nei fatti, si vuole disconoscere in modo sfacciato che la Società è cambiata. La Scuola invece è rimasta vincolata a vecchi schemi e oggi paga le conseguenze di questo suo immobilismo.

L’arrivo di migliaia di immigrati, se da un lato ha favorito lo sviluppo industriale, ha ulteriormente aggravato la profonda crisi in cui versa la Scuola Pubblica.

L’introduzione del’obbligo scolastico fino a 16 anni ha creato un nuovo disagio alla Scuola Pubblica. Penso che questa regola abbia contribuito a rendere umiliante il percorso scolastico di tanti ragazzi che non amano lo studio tradizionale, ma sono costretti ad andare a scuola fino a 16 anni contro la loro volontà, magari “spinti” a studiare dai genitori, solo per un inconscio orgoglio da parte di questi ultimi. Questo tipo di ragazzi non si adatta allo schema scolastico tradizionale e, di conseguenza, vive male il percorso scolastico rendendo più difficile il compito degli insegnanti e rallentando il lavoro dei compagni predisposti allo studio.

Occorre prevedere un percorso diverso per questi giovani; ad esempio, potrebbero essere inseriti nel mondo del lavoro attraverso particolari convenzioni con le imprese che, a loro volta, riceverebbero il vantaggio di garantirsi manodopera specializzata. Una forma di apprendistato con caratteristiche scolastiche.

Penso che il cambiamento della Società sia stato quantomeno mal gestito dai nostri governanti. I genitori, che in passato avevano il ruolo di guida per i figli, messi sotto pressione dal lavoro e altro, in questi anni non riescono più ad adempiere, in modo ottimale, al ruolo di educatori. E questo si ripercuote negativamente sul comportamento dei figli, sia all’interno della scuola che nella vita pubblica.

La Scuola, che ha il compito di formare i nuovi cittadini, si è trovata di colpo, in tanti casi, a dovere sostituire i genitori. La vecchia classe politica, che ha amministrato per decenni l’Italia, ha delle responsabilità enormi nei confronti delle famiglie italiane. I vari governi che si sono succeduti non hanno mai affrontato una politica a sostegno dei bisogni delle famiglie.
Oggi la situazione è seria, e sarebbe compito dell’attuale classe politica porre rimedio a questo fallimentare stato di cose. Purtroppo, qualche governante è troppo impegnato a sistemare le proprie faccende personali per pensare di aiutare le famiglie.

Per migliorare la Scuola Pubblica, è assolutamente necessario che i genitori si riapproprino del ruolo di educatori dei propri figli; per fare questo, è improrogabile il sostegno dello Stato alle famiglie.

L’attuale Governo ha purtroppo dimostrato una mancanza di sensibilità verso i reali bisogni della Scuola Pubblica. Se non si tratta di incapacità, allora si potrebbe pensare a una strategia che ha come obiettivo l’indebolimento della Scuola Pubblica, allo scopo di spingere chi vuole studiare e insegnare, nel senso pieno del termine, verso la Scuola Privata. La Scuola Pubblica ha bisogno di risorse umane motivate, che vivano con soddisfazione il proprio ruolo. Ci sono tanti validissimi insegnanti demotivati. Tanti hanno come unico stimolo lo stipendio che gli consente di “tirare a campare”.

Per poter progredire, uno Stato ha necessità di governanti esemplari, capaci di soddisfare i bisogni dei cittadini, di una Scuola Pubblica efficiente in grado di formare le nuove generazioni sulla base della meritocrazia, di imprese capaci di costruire lavoro, di famiglie in grado di educare e seguire la crescita dei propri figli. A noi Italiani cosa manca? ...

Ennio Annibale Maione

martedì 7 luglio 2009

La mia Politica

PoliticaNon avrei mai pensato di entrare, in modo attivo, in politica. Una frase ricorrente da sempre è “La Politica fa schifo!”. Dietro questa frase si cela, in genere, il malcontento della gente comune delusa dai Partiti e dai politici in cui aveva riposto fiducia e speranza di un’esistenza migliore. Con questa frase, allo stesso tempo, ci si crea un alibi, un motivo per starne lontano; si rinuncia a farne parte lasciando, inconsciamente, ad “altri” il compito di decidere anche per noi.

Non ci si vuole “sporcare”. In alcuni casi, ci si ritiene migliori di coloro che ne fanno parte. In tanti altri casi, ci si giustifica ritenendosi non adatti a fare politica, pensando che la politica debba essere ad appannaggio di professionisti. Non mancano mai i motivi per giustificare il proprio allontanamento dalla politica, ma è veramente giusta tale posizione?

Sicuramente la scena politica è da sempre invasa da soggetti che predicano bene e razzolano male, oggi più che ieri.

Il motivo che mi ha spinto ad occuparmi di politica in modo attivo è stata la maturazione di una convinzione: non è la politica che è schifosa, ma sono coloro che la usano per i propri personali interessi a farla apparire tale. Ecco perché penso che le persone oneste, che hanno idee positive, debbano impegnarsi a togliere spazio a tali soggetti. Abbiamo bisogno di gente onesta che abbia a cuore l’interesse della collettività, soprattutto della parte più debole, e non l’interesse personale. Mi riferisco allo scenario nazionale, non a quello locale.

Oggi più che mai è necessario, oltreché urgente, non estraniarsi. Primo perché stiamo andando incontro a una deriva pericolosa per la democrazia: il disegno della P2, passo dopo passo, si sta realizzando. Secondo, perché mettendosi in disparte e magari rinunciando ad andare a votare, lasciamo campo libero a personaggi “discutibili”, sia sotto l’aspetto umano che culturale, oltreché penale: vedi quanti di questi “soggetti” sono stati inseriti, in alcune liste, come candidati alle prossime elezioni del 6 e 7 giugno. Terzo e ultimo, non è giusto lasciare che siano sempre altri a “sacrificarsi”, perché la politica fatta in modo corretto è anche sacrificio: non è giusto che siano sempre altri ad assumersi la responsabilità di fare scelte che coinvolgono tutti noi, come non è giusto estraniarsi e poi criticare.

Occorre partecipare. Non si deve rinunciare all’opportunità di poter contribuire a cambiare le cose che non vanno. La rinuncia di tanti a interessarsi alla politica ha lasciato, in questi anni, spazio a opportunisti senza scrupoli, che l’hanno usata e la usano in modo disinvolto per scopi e interessi personali: la cosiddetta “Casta”. Ritengo che chi si estranea, soprattutto quando le cose vanno male, e rinuncia a partecipare al voto, possa essere considerato complice della deriva politica. Il disinteresse alla Politica, soprattutto con la rinuncia al voto, non ci salvaguarda: ci rende complici.

Il qualunquismo, in un tentativo di giustificazione, serve solo a crearci un alibi allo scopo di scaricarci la coscienza. Non serve. Il nostro star fuori, non ci giustifica.

Oggi ho deciso di fare quello che dovrebbero fare tutti coloro che pensano di avere delle idee che possano contribuire al miglioramento della collettività: fare politica attiva. O almeno tentare.

La politica non è, né deve essere, qualcosa di esclusivo. Pensiamo a uomini e donne che si occupano di politica attivamente, come se fosse una famiglia, una famiglia numerosa con dei genitori virtuosi: questa è la mia personalissima visione della politica.

Così come il governo della famiglia è affidato ai genitori, il governo dello Stato, delle città e dei Comuni è affidato agli amministratori che, a differenza dei genitori, sono scelti dai cittadini, ma i compiti degli uni e degli altri non sono tanto diversi: loro, genitori e amministratori, hanno il compito di guidare, con cura e amore, con rigore e fermezza, ma soprattutto con l’esempio, tutti i figli, indistintamente e senza favoritismi.

Come in una famiglia

  • ognuno ha il dovere di rispettare l’autorità dei genitori e di seguirne le linee guida;
  • non deve mai mancare l’attenzione e l’aiuto verso i figli meno fortunati;
  • si deve porre attenzione al bilancio tra entrate e uscite;
  • si deve dare la giusta priorità ad ogni spesa;
  • ognuno ha il dovere di contribuire, in modo equo, alle spese per il miglioramento collettivo;
  • ognuno ha il dovere di non sprecare le risorse comuni;
  • ognuno ha il dovere di essere solidale nelle necessità;
  • ognuno ha il dovere di rispettare le regole;
  • ognuno ha il diritto di esprimere la propria opinione e di essere ascoltato;
  • ognuno ha il diritto di pretendere il benessere personale secondo la propria contribuzione;
  • nessuno deve usare le risorse comuni per scopi personali.

Questa visione della politica può apparire ingenua, illusoria o utopistica, ma pensate come sarebbe bello se i politici, compiendo un grande sforzo, potessero perseguirla così come è stata esposta.

In fondo, per entrare in politica è sufficiente avere delle idee da perseguire; la condivisione è il passo successivo.

Ennio Annibale Maione

domenica 5 luglio 2009

Grazie a Voi!

LetteraCari elettori dell’Italia dei Valori,
alla fine di ogni tornata elettorale si può essere contenti o delusi.

Io sono contento di avere partecipato e di avere contribuito, insieme a Voi, al grande successo dell’Italia dei Valori in ambito locale e nazionale.

A Gualtieri sono stati eletti, per la prima volta, due consiglieri dell’Italia dei Valori, all’interno della lista Maestri Sindaco - Uniti per Gualtieri: (Ennio) Annibale Maione e Giorgio Rossi.

Grazie a tutti Voi che, con il Vostro voto, avete contribuito a questo straordinario risultato a Gualtieri.

Il nostro obiettivo è di lavorare bene all’interno dell’amministrazione comunale, rispettando il Programma condiviso con i nostri alleati, affinché Voi elettori possiate sentirvi orgogliosi di averci dato la Vostra preferenza.

Vogliamo stare vicino a ognuno dei nostri elettori; per questo Vi invito a non esitare a contattarci, nel caso abbiate suggerimenti da darci o segnalazioni da farci, nell’interesse della nostra comunità.

Il nostro ingresso all’interno dell’amministrazione comunale è un punto di partenza e non un punto di arrivo; ora è il momento di lavorare.

Grazie ancora a tutti Voi!

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